martedì 28 giugno 2016

Il mistero del codice Beale: messaggi segreti nel vecchio West

L'epopea del West è una vera fucina di storie, dalle più incredibili alle più classiche e note. Come il genere letterario riesce ad essere un contenitore che può ospitare al suo interno tutti gli altri generi (il giallo, l'horror, la fantascienza, il romantico) così gli anni della Frontiera sono stati testimoni di storie di tutti i tipi. Quella di cui vorrei parlarvi in questo articolo è conosciuta come mistero del cifrario Beale ed è una vicenda che coniuga, meglio della finzione, storia del West, tesori nascosti e codici segreti.

Siamo nel 1817. Thomas Jefferson Beale, un avventuriero, si inoltra nei territori del West insieme alla sua compagnia, composta da altri ventinove uomini. L'obiettivo è la caccia. In un anno attraversano le pianure centrali e giungono a Santa Fe, in territorio messicano, dove svernano. A primavera lasciano il villaggio e si dirigono verso nord, all'inseguimento di una mandria di bisonti. Una sera del 1818 il gruppo si accampa in un burrone (molto probabilmente il letto di un torrente in secca) a quattro o cinquecento chilometri da Santa Fe. Mentre alcuni uomini preparano la cena, uno del gruppo si accorge di qualcosa che luccica in una fenditura della roccia. Raccolto l'oggetto, lo mostra ai compagni e tutti concordano di essere davanti a una pepita d'oro. Con l'agitazione di una simile scoperta in corpo, gli uomini si affannano a cercare e in breve scoprono un enorme giacimento di oro e argento. Sfruttano questa miniera per un anno e mezzo, poi Beale, nel gennaio 1820, raccolto il bottino, torna nella natia Virginia, a Lynchburg, dove seppellisce il tesoro e fa amicizia con un albergatore chiamato Robert Morriss; poi ritorna di nuovo nel West.
Morriss lo rivede solo due anni dopo, nel 1822. Beale gli lascia una cassetta metallica chiusa e si fa promettere di custodirla, perchè contiene «documenti importanti e di valore». Morriss acconsente, e da quel momento non ci pensa più. Poi nell'aprile dello stesso anno riceve una lettera da St. Louis, firmata Beale. La missiva, oltre a un resoconto del viaggio di Beale nel West, riporta quanto segue:

[la scatola metallica] Contiene carte di importanza vitale per le mie fortune e per quelle di diverse persone con cui sono in affari, e nell’eventualità della mia morte la sua perdita sarebbe irreparabile. Comprenderete, quindi, la necessità di fare ogni sforzo perché un simile disastro non si verifichi… Se nessuno di noi dovesse tornare, vi prego di custodire con cura la scatola per un periodo di dieci anni dalla data di questa mia, e se trascorso quel tempo né io né alcuno da me autorizzato l’avrà reclamata, apritela, cosa che si può fare rimuovendo la serratura. Troverete, oltre a fogli indirizzati a voi, documenti che vi saranno incomprensibili senza l’aiuto di una chiave. Ho posto la chiave nelle mani di un amico di qui, sigillata e indirizzata a voi, con l’ordine di non recapitarvela fino al giugno 1832. Col suo aiuto, comprenderete perfettamente quello che sarete pregato di fare.

Morriss non rivide mai più Beale, e a tutt'oggi non si sa che fine fece l'avventuriero. L'albergatore custodì la cassetta ben oltre i dieci anni richiesti, nella speranza che Beale si rifacesse vivo. Ma nel 1845 nè l'uomo nè il corriere che doveva consegnargli il documento con la chiave si erano fatti vivi, così Morriss decise di aprire la scatola. Dentro vi trovò tre fogli pieni di cifre e un appunto scritto in inglese. In quel foglietto, Beale aveva riportato la storia della sua avventura e precisava che i tre fogli cifrati contenevano, rispettivamente, l'ubicazione del tesoro, la quantità e i nomi dei trenta beneficiari del bottino (più una percentuale per lo stesso Morriss). L'albergatore, a quel punto, si era convinto che Beale fosse morto e, nel tentativo di esaudire le sue volontà, si impegnò a decifrare i crittogrammi. In vent'anni di ossessionato lavoro non riuscì a giungere a nessuna decrittazione e, nel 1862, lasciò tutto a un amico rimasto anonimo. Quest'amico, nel 1885, pubblicò un opuscolo di 23 pagine intitolato The Beale Papers (Le carte di Beale), che è l'unica fonte di tutta la vicenda come la conosciamo oggi. L'anonimo scoprì che il primo e il terzo foglio erano del tutto indecifrabili ma riuscì a decifrare il secondo foglio cifrato, quello contenente la descrizione del tesoro. Ci riuscì supponendo che ogni numero sostituisse una lettera; ma visto che nel testo cifrato c'erano numeri superiori al 26 (numero di lettere dell'alfabeto), l'anonimo suppose che il messaggio fosse stato cifrato tramite un libro usato come chiave. La cifratura con questo sistema funziona così: si decide la porzione di testo che deve fungere da chiave e, a ogni parola, si associa un numero in crescendo. Per esempio:

(1)Era (2)una (3)notte (4)buia (5)e (6)tempestosa

In questo modo l'iniziale di ogni parola corrisponde al numero assegnatogli: l'1 sta per E, il 2 per U, il 3 per N, e così via. Se quindi, per assurdo, volessimo comporre la parola tune, cifreremmo il messaggio così: 6-2-3-1 (naturalmente per testi lunghi bisogna usare una chiave lunga, anche pagine intere di un libro). Ovviamente, per decifrare il messaggio è indispensabile che il destinatario disponga del testo chiave. In questo modo il nostro autore anonimo riuscì a decifrare il secondo foglietto, scoprendo che il testo chiave era la Dichiarazione di Indipendenza: «Con quest’idea in mente furono messi alla prova tutti i libri che riuscii a trovare, numerando le lettere e confrontando i numeri con quelli del manoscritto; per qualche tempo ogni sforzo fu vano, finché la Dichiarazione di Indipendenza permise di decifrare uno dei fogli, risuscitando tutte le mie speranze».
Ecco il testo decifrato:

I have deposited in the county of Bedford, about four miles from Buford’s, in an excavation or vault, six feet below the surface of the ground, the following articles, belonging jointly to the parties whose names are given in number “3,” herewith:
The first deposit consisted of one thousand and fourteen pounds of gold, and three thousand eight hundred and twelve pounds of silver, deposited November, 1819. The second was made December, 1821, and consisted of nineteen hundred and seven pounds of gold, and twelve hundred and eighty-eight pounds of silver; also jewels, obtained in St. Louis in exchange for silver to save transportation, and valued at $13,000.
The above is securely packed in iron pots, with iron covers. The vault is roughly lined with stone, and the vessels rest on solid stone, and are covered with others. Paper number “1” describes the exact locality of the vault, so that no difficulty will be had in finding it.


(Ho depositato nella contea di Bedford, a circa quattro miglia da Buford’s, in una fossa, o cripta, sei piedi sotto la superficie del suolo, i seguenti articoli, appartenenti nel loro insieme alle parti i cui nomi sono forniti nell’allegato «3»:
Il primo deposito è consistito in mille e quattordici libbre d’oro, e in tremilaottocentododici libbre d’argento, depositate nel novembre 1819. Il secondo è stato effettuato nel dicembre 1821, ed è consistito in millenovecentosette libbre d’oro, e milleduecentottantotto libbre d’argento; nonché in gioielli acquistati a St. Louis in cambio dell’argento per economia di trasporto, valutati 13.000 dollari.
Quanto sopra è conservato in modo sicuro in recipienti di ferro, con coperchi di ferro. La cripta è rozzamente rivestita di pietre, mentre i recipienti poggiano su solide pietre, e sono coperti da altre. Il foglio numero «1» descrive l’ubicazione esatta della cripta, cosicché trovarla non comporterà nessuna difficoltà.)


Purtroppo per il nostro autore anonimo, però, la Dichiarazione si dimostrò inutile per la risoluzione degli altri due foglietti cifrati. L'uomo, esasperato e ormai ossessionato dal codice segreto, nel 1885 decise di darci un taglio e di pubblicare il tutto nella speranza di offrire la possibilità ad altri curiosi o esperti di risolvere l'enigma.

Nel corso degli anni furono moltissimi coloro che provarono a decifrare i due messaggi rimasti, in particolare - per ovvie ragioni - il primo. Nessuno ci riuscì: non ce la fecero nemmeno gli esperti come Herbert O. Yardley, fondatore dell’U.S. Cipher Bureau (Ufficio Cifre degli Stati Uniti) e nemmeno William Friedman, uno dei migliori crittoanalisti americani. Dovettero desistere anche i crittoanalisti informatici, che non riuscirono a decifrare i messaggi nemmeno con l'uso dei computer appositamente concepiti per questo. Sono stati presi a chiave tutti i testi più famosi (la Bibbia, la Costituzione americana, la Magna Carta, e chissà quanti altri...) ma senza il minimo successo.
Nonostante anni di successi nella decifratura anche dei codici più inaccessibili, nessuno è mai riuscito a venire a capo del codice Beale, e forse la verità è semplicissima, o quantomeno logica: Beale può aver impiegato, come chiave, un testo appositamente redatto di suo pugno, scritto in una sola copia (quella che presumibilmente era stata affidata al corriere perchè la consegnasse a Morriss); in questo modo i suoi foglietti pieni di numeri sarebbero quasi di sicuro il codice più inviolabile mai concepito.

Alcuni scettici ritengono anche si tratti di una bufala. Una prova sarebbe l'uso della parola stampede nella lettera indirizzata a Morriss, scritta nel 1822: secondo alcuni, questa parola non divenne di uso comune che a partire dal 1844. Però non è escluso che fosse già in uso all'epoca in cui Beale scriveva, e che solo dopo divenne comune.
Anche Edgar Allan Poe trova posto nella vicenda: sembra infatti che si sia dichiarato il vero autore dell'opuscolo, il problema è che Poe morì nel 1849 mentre l'opuscolo venne pubblicato quasi quarant'anni dopo.
Il crittografo Louis Kruh ritiene che l'autore dell'opuscolo e quello delle lettere siano la stessa persona, e che quindi tutto sia una truffa concepita intorno al 1885. Kruh svolse un'analisi dei testi e, in base al calcolo delle frequenze e degli stili, giunse alla conclusione che il famoso anonimo sia l'autore di tutta la vicenda e che quindi i codici siano stati scritti a casaccio. In realtà, però, non sembra così. Utilizzando la Dichiarazione di Indipendenza come primo testo-chiave, si generano stringhe di testo non del tutto insensate (Singh riporta un esempio: abfdefghiijklmmnohpp). Secondo James Gillogly, presidente dell’American Cryptogram Association, una tale stringa non è affatto casuale e "le probabilità che una sequenza simile compaia per caso sono meno di una su cento milioni di milioni; ciò suggerisce l’esistenza di un principio crittografico soggiacente alle serie numeriche del primo foglio. Un’ipotesi è che la Dichiarazione di Indipendenza sia davvero la chiave, ma che il testo risultante richieda una seconda decifrazione" (Simon Singh, Codici & Segreti).
Lo storico Peter Viemeister, autore del libro The Beale Treasure–History of a Mystery, si è anche prodigato nelle ricerche storiche, cercando di capire se tale Thomas Jefferson Beale sia realmente esistito. Nelle ricerche condotte da Viemeister si è scoperto che l'anagrafe del 1790, insieme ad altri documenti, riporta diversi Thomas Beale nati in Virginia. Anche il registro dell'ufficio postale di St. Louis, da cui Beale avrebbe spedito una lettera, riporta un certo "Thomas Beali".

Al netto dei dati e delle indagini, sembra che la vicenda Beale sia autentica. Il problema è: si sarà mai in grado di decifrare i due messaggi rimasti? Se, come credo anche io, Beale li cifrò su un testo appositamente scritto, le possibilità sono peggio che remote. Sempre che il tesoro non sia già stato trovato.
__________________

Per altri dettagli sulla vicenda vi consiglio il libro di Simon Singh, Codici & Segreti, Bur, 1999 (cura di Stefano Galli), da cui provengono i testi citati in questo articolo.

venerdì 10 giugno 2016

Le nuove eroine del western

Qualsiasi appassionato di cinema western, in particolare quelli cresciuti a pane e John Wayne, ricorderà le attrici che nell'epoca d'oro del genere diedero un contributo importante, rimanendo nella memoria, anche in quella dei non appassionati: Grace Kelly, Angie Dickinson, Jane Russell, Barbara Stanwyck, Natalie Wood, Jennifer Jones, Audrey Hepburn, Marlene Dietrich, persino le nostre Claudia Cardinale e Nicoletta Machiavelli. Certo, essendo il western un genere prettamente maschile, nessuna è mai riuscita a raggiungere i numeri quantitativi di un Burt Lancaster, di un Gary Cooper o di un John Wayne, ma è indubbio che molte sono entrate nella leggenda allo stesso modo dei loro colleghi maschi.
Il problema però è che il western dei tempi d'oro è bello che andato, e con esso le vecchie glorie (di ambo i sessi). Di conseguenza il western di oggi deve affidarsi alle attrici della propria generazione e con questo breve articolo vedremo chi sono quelle che negli ultimi vent'anni circa hanno preso l'eredità delle pistolere della vecchia Hollywood. Essendo il western ormai di nicchia è praticamente impossibile che un'attrice possa legare il suo nome al genere, anche se qualcuna ha avuto la possibilità (mi piace pensare che sia stata consapevole) di arrivare a fare fino a tre western; per questo l'articolo è una lunga galleria di nomi - magari illustri - che (almeno finora) hanno partecipato ai film di Frontiera con una "toccata e fuga".

----------
Guarda l'album sulla pagina Facebook di Western Campfire per vedere le immagini delle protagoniste western degli ultimi 25 anni.
----------

Iniziamo la nostra carrellata da Hailee Steinfeld. La giovanissima attrice classe 1996 sembra proiettata verso il western, a giudicare dai film fatti finora: innazitutto dal suo esordio con Il Grinta (2010), dove appena quattordicenne si mangia il navigato Jeff Bridges, poi con The Homesman (2014) accanto a Tommy Lee Jones ma in un ruolo marginale, e infine con The Keeping Room (2014), da co-protagonista ma sempre negli abiti western che le calzano a pennello, senza contare che ha lavorato accanto a leggende come Kevin Costner e Harrison Ford. Diciott'anni e tre western alle spalle mi sembra una media notevole. Come quella di Sara Canning, che però di anni ne ha ventotto: tre sono i western fatti dalla bellissima attrice (conosciuta dai giovani per il ruolo di Jenna nella serie tv "Il diario del vampiro"): Hannah's Law (2012), accanto a Danny Glover, e Black Field (2009) da protagonista principale, e tre episodi della serie tv "Hell on wheels" (2011-2016) da comparsa, dove interpreta una prigioniera degli indiani riportata alla civiltà da uno dei protagonisti della serie (non dico chi e come per evitare spoiler abbastanza importanti). In Hannah's Law la vediamo cacciatrice di taglie per vendetta, anche con un discreto uso delle armi, mentre in Black Field (che non ho mai visto, purtroppo) ha il ruolo di una pioniera delle praterie del Canada che si scontra con la sorella per via di un uomo. E a proposito di sorelle, mi viene in mente Evan Rachel Wood che in The Missing (2003) viene rapita dagli Apache e salvata dalla sorella (Jenna Boyd) e da una immensa Cate Blanchett, il cui ruolo e interpretazione davvero maiuscole - di una madre preoccupata per la figlia rapita e allo stesso tempo ossessionata dall'odio per il padre - hanno confermato lei come una delle più grandi attrici di oggi e reso il film uno dei migliori western dai tempi de Gli Spietati. E dopo il film con Clint, ai fini di questo post, ci fu l'abbagliante Sharon Stone in Pronti a morire: anche lei giustiziera per vendetta, veloce e micidiale con la pistola, di sicuro una delle più belle attrici che abbiano mai fatto un western (e all'epoca del film, siamo nel 1995, era all'apice della bellezza nonchè della notorietà). E in fatto di attrici notissime non posso non ricordare Demi Moore, che però nel recentissimo Forsaken (2015) è sfiorita e pure in un ruolo marginale (vecchia fiamma del protagonista prima che questi partisse per la guerra). A differenza di Charlize Theron, che nel comico Un milione di modi per morire nel West (2014) non solo è la protagonista principale accanto a Seth McFarlane, Liam Neeson e le altre due inedite presenze femminili, Amanda Seyfried e Sarah Silverman, ma non perde un solo grammo della sua straordinaria bellezza, nonostante reciti con una parrucca per mascherare i capelli corti dovuti al suo ruolo nel post-apocalittico Mad Max: Fury Road. Meno belle e giovani ma dal più forte impatto drammatico sono Greta Scacchi in Broken Trail (2006), dove interpreta una sguattera-prostituta che si mette sotto la protezione di Robert Duvall; e Annette Bening in Open Range. Terre di confine (2003), nel ruolo di una donna matura che fa innamorare il rude cowboy Kevin Costner (il film è ottimo ma la mielosa scena finale è da suicidio...), proprio come Joanna Going in Wyatt Earp (1994), che nelle vesti di Josie Marcus scaccia Mark Harmon per correre tra le braccia di un baffuto Costner/Wyatt Earp. La Going tra l'altro la si vede anche in uno degli ultimi episodi della serie "Into the West" (2005), a cui prendono parte, nel corso delle puntate, anche Jessica Capshaw, Keri Russell e Rachael Leigh Crook, che a sua volta ha un ruolo nel teen-movie Texas Rangers (2001). E rimanendo un attimo sulle serie tv c'è da segnalare Dominique McElligott che oltre ad essere la protagonista principale femminile del serial "Hell on wheels" ha interpretato anche la parte di Etta Place in Blackthorn (2011); sempre su "Hell on wheels" la bellissima Robin McLeavy, il cui personaggio rapito dagli indiani è di sicuro basato sulla storia vera di Olive Oatman; il duo Linda Cardellini ("E.R.") e Elizabeth Banks (il ciclo di Hunger Games) in "Comanche Moon" (2008, telefilm passato totalmente inosservato sui nostri schermi); Abbie Cornish (il remake di Robocop), che in "Klondike" (2014) interpreta la donna più ricca dell'Alaska; Kristen Bell, la Veronica Mars del telefilm omonimo, piccola truffatrice in un paio di episodi di "Deadwood" (2004); Sarah Jones, vista sia nella breve serie "Texas Rising" che nei due film del filone western-romantico L'amore trova casa e L'amore apre le ali (vedi più avanti); e Yvonne Strahovski ("Chuck", "24") nel recentissimo one-shot "Edge" (2015), dove interpreta un'agente della Pinkerton sotto copertura. Un'altra attrice molto attiva nei telefilm (come "Heroes", per esempio) è Ali Larter, che in quella ciofeca di Gli ultimi fuorilegge (2001, una specie di riproposizione del western per i più giovani, sulla falsariga dei due Young Guns) interpreta Zerelda Mimms, la compagna/moglie di Jesse James (interpretato da Colin Farrell), mentre un'altra conosciuta ai più grazie al telefilm "Dawson's Creek", Michelle Williams, è stata una dei personaggi di Meek's Cutoff (2010), una specie di western minimalista che ha convinto anche la critica.
Dalle serie tv alle attrici meno conosciute, come Lizzy Caplan (Cloverfield, "Masters of Sex") in The Last Rites of Ransom Pride (2010), pistolera fancy che va in Messico a sparare a freak e nani; oppure Jill Hennessy in Dawn Rider (2012), vecchia conoscenza di Christian Slater; o ancora la stupenda Camilla Belle (Chiamata da uno sconosciuto) ossessione di Scott Eastwood in Diablo (2015); o anche la rossissima Kate Bosworth in The Warrior's Way (2010). Poi anche una Jessica Parè sfregiata in The Mountie (2011), Gretchen Mol moglie del protagonista Christian Bale nel remake di Quel treno per Yuma (2007, dove nella piccola parte di una barista c'è anche Vinessa Shaw), Jena Malone nella miniserie con Kevin Costner "Hatfields & McCoys" (2012, dove vediamo anche un'invecchiatissima Mare Winningham, che vent'anni prima aveva interpretato Mattie - la compagna di Wyatt Earp - in Wyatt Earp), Nastassja Kinski (figlia di Klaus) in Le bianche tracce della vita (2000) e infine Diane Lane (che nella vita reale è la moglia di Josh Brolin), una "veterana" western con all'attivo la miniserie "Lonesome Dove" (1989) e i film Wild Bill (1995), Il Virginiano (2000) e Branco selvaggio (1981).
E dalle attrici meno conosciute alle curiosità, come le sorelle Duff: Hilary che appena decenne fa una comparsata in True Women (1997, dove girano anche Angelina Jolie e Dana Delaney) e Haylie che è una delle protagoniste del doppio L'amore trova casa e L'amore apre le ali (2009), due filmetti del filone romantico del West (mai visti, e nemmeno ci tengo). E come altre due sorelle, Emily e Zoey Deschanel: la prima (che in tv è la protagonista del serial "Bones") la troviamo in Alamo. Gli ultimi eroi (2004) e la seconda in L'assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford (2007). E a proposito di coppie non posso non citare quella composta da Penelope Cruz e Salma Hayek protagoniste di Bandidas (2006), un western che non ho mai visto e credo anche fortunatamente! La Hayek in precedenza era comparsa nel weird-western Wild Wild West (1999). E prima della coppia Cruz-Hayek c'era stato il poker di Bad Girls (1994) con Drew Barrymore, Andie MacDowell, Madeleine Stowe e Mary Stuart Masterson, quattro "Robin Hood" in un western al femminile. Un'altra importante attrice che ha sfiorato il western potrebbe anche essere Catherine Zeta-Jones, protagonista di due film di Zorro (1998 e 2005), se proprio vogliamo includerli nel genere. E qui concludo con Caity Lotz ("Arrow", "Mad Men"), la biondina che fa parte di "Legends of Tomorrow", un cast di supereroi che viaggiano nel tempo per salvare il mondo: nell'episodio 11 della prima stagione (dal titolo "The Magnificent Eight"), il gruppo è nel West, dove incontrerà anche Jonah Hex, in una puntata a cavallo con la fantascienza.
Nelle prime righe abbiamo citato The Homesman: quel film vede non solo la Steinfeld ma anche e soprattutto Hilary Swank, un'attrice con la A maiuscola, che ha vinto Oscar, ha lavorato a fianco di Clint Eastwood e ha deciso di interpretare nel suo primo (e finora unico) western una pioniera zitella in cerca di marito che si imbarca in un tragico viaggio: trasportare tre donne impazzite dalla solitudine attraverso il paese fino alla casa di cura diretta da Maryl Streep (anche lei al suo unico western). Una delle donne impazzite è Miranda Otto, vista anni prima nel (sottovalutato) western televisivo The Jack Bull (1999) come moglie di John Cusack. E un altro premio Oscar è protagonista del nuovissimo Jane Got a Gun (2015): Natalie Portman, che interpreta una madre-et-moglie divenuta pistolera e capace di maneggiare una Colt Walker e una carabina Henry con abilità provetta. Sempre del filone donna in cerca di vendetta fa parte Sweetwater (2013), dove un'inedita January Jones (Le tre sepolture, Unknown. Senza identità, Solo per vendetta), forse un po' troppo esagerata nel trucco e parrucco, deve fare giustizia per l'uccisione del marito. Tra le bionde mi viene in mente anche la bravissima Naomi Watts, il cui unico western è uno sconosciuto (almeno in Italia) film per la tv dal titolo The Outsider (2002), dove lei interpreta una mennonita che si innamora di un fuorilegge. Un'altra brava attrice che ha toccato solo una volta il western con un film per la tv è Anna Paquin (che a 11 anni vinse un Oscar come miglior attrice non protagonista), nella riproposizione del capolavoro di Dee Brown Bury My Heart at Wounded Creek (2007, in Italia uscito col titolo L'ultimo pellerossa).
Per il genere "non belle ma brave" possiamo parlare di Renee Zellweger, che in Appaloosa (2008) si prende la scena femminile tutta per sè, in un ruolo ambiguo che le chiede di fare il filo tra due amici (Viggo Mortensen e Ed Harris) di una vita, portando a conseguenze non proprio piacevoli. Precedentemente l'abbiamo vista insieme a Nicole Kidman in Ritorno a Cold Mountain (2003, dove compariva anche Natalie Portman). Oppure possiamo dire di Anjelica Houston, che prima interpreta Calamity Jane in Buffalo Girls (1995) e poi il ruolo di strana imbonitrice (ma dal simbolismo probabilmente nascosto) in Caccia spietata (2006), dove aiuta democraticamente sia Pierce Brosnan che Liam Neeson. Jodie Foster, invece, nel suo unico film western (escludendo qualche telefilm quand'era giovanissima), Maverick (1994), è - ma vado a memoria, potrei anche sbagliare - una giocatrice d'azzardo insieme a Mel Gibson (anche lui, lì, al suo unico western). Anche la nostra Isabella Rossellini sembra gradire il western, recitando prima in Wyatt Earp (1994) il ruolo di Big Nose Kate, la compagna di Doc Holliday (Dennis Quaid), poi in Monte Walsh (2003), dove interpreta una ex prostituta malata di tubercolosi e compagna del nomade cowboy Tom Selleck, in un film che è un inno alla fine della Frontiera ormai invasa dal "progresso"; in Wild Bill (1995), invece, Ellen Barkin dipinge una Calamity Jane più fedele alla realtà ma sempre troppo bella (e sensuale) rispetto all'originale (in fatto di verosimiglianza storica la migliore Calamity Jane è quella di Robin Weigert in "Deadwood")... Molto più recentemente, invece, ecco una bravissima Jennifer Jason Leigh nei panni di una spietata fuorilegge in The Hateful Eight (2015), dove viene costantemente tenuta d'occhio (e picchiata) dal cacciatore di taglie Kurt Russell. E a proposito di Tarantino, aggiungiamo anche Kerry Washington in Django Unchained (2012).
Per concludere l'articolo, ecco qualche altra bellezza notevole. Partiamo dalla meno recente Milla Jovovich: l'eroina degli innumerevoli Resident Evil fa la sua comparsa in un unico western, Le bianche tracce della vita (2000), un dramma romantico di cui però onestamente ricordo poco. Poi c'è Megan Fox, quando non si era ancora rovinata la faccia col botox: in Jonah Hex (2010) è la prostituta Lilah compagna del protagonista nella caccia a Turnbull; una bellezza sconvolgente che però non aiuta a risollevare un film mediocre (ma non così orrendo come dicono molti). Bellezza sconvolgente come quella di Olivia Wilde, che in Cowboys & Aliens (2011) ha un ruolo di tutto rispetto: una sorta di alieno buono mandato nel West come spia per sconfiggere gli alieni cattivi, in questo western-fantascientifico molto ben fatto (mi è davvero piaciuto molto e non capisco quelli che lo disprezzano) e, tra l'altro, con un ulteriore cast inedito (Daniel Craig e Harrison Ford). Inedito anche il cast di The Salvation (2014) dove, come presenza femminile, spicca Eva Green, prigioniera degli indiani che le hanno tagliato la lingua (e infatti non dice una parola e recita solo con i suoi splendidi occhi) e vedova in cerca di una vendetta diversa da quella classica. Per chiudere, almeno per ora, cito Lili Simmons (molto poco conosciuta, se non forse per il telefilm "Banshee"), prigionera anche lei ma di indiani cannibali nel western-horror Bone Tomahawk (2015), che vede anche la brevissima comparsa di Kathryn Morris (la protagonista del telefilm "Cold Case").

E il futuro?
E per l'immediato futuro cosa ci riserverà il cinema western in fatto di eroine? Beh, sembra che vedremo Alice Braga, Karen Gillan, Rosamund Pike, Dakota Fanning, Liz Hurley (forse) e soprattutto Haley Bennett (nel remake de I magnifici sette, la vedete nella foto in cima all'articolo). Nella speranza che una certa Jennifer Lawrence si decida prima o poi a indossare i panni e le armi della pistolera, così come venga accontentato il desiderio di Scarlett Johansson di fare un western.

venerdì 3 giugno 2016

Considerazioni sui romanzi di Louis L'Amour

Louis L'Amour è stato e continua ad essere, senza possibilità di smentita, uno degli scrittori più venduti della storia (secondo la lista stilata da Wikipedia, sta al 21esimo posto, dietro a Stephen King). All'accuratezza nelle descrizioni ambientali e nei costumi del West e all'universalità delle storie e dei temi ha saputo unire l'anima e la persona del perfetto westerner, pubblicizzando se stesso come fosse uno dei protagonisti delle sue storie. Stetson in testa, camicia country e cravattino, L'Amour ha saputo attirare un mucchio di lettori anche grazie alla sua disponibilità e alla vita fuori da qualsiasi esagerazione, a differenza di molti altri scrittori che hanno anche venduto meno di lui.
Ma in concreto, L'Amour è davvero quel genio di scrittore come dimostrerebbero i suoi numeri, al di là del personaggio? Beh, non proprio. Come tutti gli scrittori, anche lui ha i suoi difetti. Difetti che non saltano all'occhio se magari si legge un solo romanzo oppure un paio o poco più, ma che cominciano a palesarsi quanto più ci si addentra nella lettura della sua sterminata bibliografia.
Chiariamoci subito: io sono un fan di Louis L'Amour. Posseggo tutti i settantanove romanzi della collana Oscar Western che la Mondadori gli dedicò tra il 1981 e il 1987, più altri volumi sparsi (altri della Mondadori, Longanesi, Edimar, la sua autobiografia, la guida alla sua vita e alle sue opere, il librone illustrato dedicato al suo West). Eppure per me non è quel grandissimo scrittore che molti vogliono far credere, soprattutto gli americani che hanno un vero e proprio culto.
Ma insomma, cos'ha che non va il grande Louis? Secondo me il suo difetto più grande è la ripetitività. Non c'è scampo a questo in tutti i suoi romanzi. Chi ha la fortuna di leggerli in successione (non per forza cronologica) non trova quasi mai elementi di originalità o deviazioni dalla strada già tracciata e percorsa e ripercorsa. Nei personaggi, negli snodi e nella trama, negli elementi anche più piccoli, tutto è ripetitivo e, alla lunga, sfiancante. Il protagonista è invariabilmente un ragazzo "che possiede solo i vestiti che indossa e la bravura con le armi e con i pugni"; incontra invariabilmente una ragazza di cui si innamora ma che pensa di non meritare; viene invariabilmente ferito dal cattivo (con pallottole o pugni); deve invariabilmente sopravvivere alla natura selvaggia; incontra invariabilmente qualcuno che lo aiuterà a sconfiggere il cattivo; e via, sempre invariabilmente, di questo passo. Letta una mezza dozzina dei suoi lavori si sarà in grado di prevedere quasi per filo e per segno tutta la trama dei successivi.
Nella scrittura, L'Amour traccia una linea per terra e quella sarà la distinzione tra i personaggi: da un lato i cattivi, dall'altra i buoni dai sani principi morali. Niente sfumature, niente grigio: o bianco o nero. E molti ritengono che questa sia una delle ragioni principali per cui lo scrittore vende così tanto (e all'epoca ancor di più, oggi presumo meno perchè i lettori preferiscono gli antieroi).
Anche lo stile non è che sia così effervescente o particolare. Ora io ho avuto modo di leggere solo un paio di suoi racconti in lingua originale ma non mi pare che i traduttori italiani abbiano influito più di tanto (lo stile si mantiene identico in tutte le edizioni italiane, anche con traduttori diversi), tuttavia pure qui vince la piattezza, non però in senso dispregiativo: la scrittura di L'Amour è semplice e concreta, non ha guizzi ma non ha neanche inutili abbellimenti o dimostrazioni del tipo "guarda come sono bravo a scrivere". Ma ha un pregio che per me è importantissimo: è evocativa. Ambienti e atmosfere trovano in L'Amour un interprete che te le fa vivere davvero. Per me che sono un patito ossessionato dalle ambientazioni è forse il vantaggio più grande che uno scrittore possa avere.
Nonostante tutto ciò, comunque, Louis L'Amour è diventato non un'icona ma l'icona del genere (Lo scrittore del West più letto nel mondo recitava lo strillo nelle copertine mondadoriane dei suoi romanzi). In Italia lasciamo perdere, ma in America è tuttora osannato (e venduto), ed è stato pure citato e premiato dai Presidenti.
Io non voglio mettere in discussione questa gloria o sminuire il suo inestimabile e immenso lavoro, ma ho soltanto voluto sottolineare quello che più mi è saltato all'occhio nel corso delle mie letture. Adesso ho preso l'abitudine di diluire, nel lungo/lunghissimo periodo, ciò che mi resta da leggere delle sue storie.
Comunque sia, carissimo Louis, il western e i suoi lettori ti devono davvero tanto.