Intervista di Mario Raciti - Grazie a Stefano Jacurti per le foto.
Ciao Stefano, e benvenuto ancora una volta su Western Campfire! Partiamo senza indugi, e partiamo col classico: come sono nati i racconti di Western Sex Rock and Horror?
Ciao Mario e grazie! I racconti sono nati perché sono rinato io dopo un periodo molto difficile della mia vita.
Sbaglio o, rispetto al Baule nella prateria, questi nuovi racconti sono più incentrati sull’introspezione e sul passato dei personaggi?
Non sbagli affatto, seguono il filone interno al genere, il western psicologico, ma sbaglierebbe e di grosso, chi credesse ad un libro privo di azione. Infatti nel libro c’è la tormentata vicenda di un bambino nel West nel racconto “L’infanzia di David” violenza interfamiliare compresa, un argomento che ho voluto trattare, oppure nei massacri fra bianchi e indiani nel racconto “Wasichu”. Fra l’altro un consiglio ai lettori dell’infanzia di David: state lontani dai ponti sui canyon e dalle stazione ferroviarie!
In questa nuova raccolta si nota anche la mancanza di elementi stile spaghetti western in favore di un western più classico e “americano”.
È vero, penso che stavolta siamo più di là che di qua, ma questo continuo oscillare nei due mondi western fa parte di me.
In un’intervista radio hai detto che il racconto “Wasichu” ha fatto la strada inversa di Inferno bianco, cioè dalla pellicola (o meglio, dall’idea alla base della nascita di Inferno bianco) alla carta stampata. Puoi dirci di più?
Giorni fa Simona Di Leo, che saluto caramente, mi ha chiesto se uno di questi racconti potrà diventare un film, chissà, intanto c’è stato il percorso inverso, l’idea di un western sulla neve è tornata su carta, ma con una trama che non c’entra nulla con Inferno bianco. C’è un cacciatore di lupi, (animali da proteggere oggi, ma nell’Ottocento considerati da molti solo dei predatori assassini) che incontrerà il mondo dei Sioux. Ci sarà un percorso da fare in mezzo alla neve e alle guerre indiane con una squaw che quell’uomo non dimenticherà mai (e viceversa).
Perché mi piaceva inserire anche il West di oggi per evocare il genere road movie del cinema con il mondo country intorno.
I racconti “Un bravo soldato” e “Un conto da saldare” sono dei western-horror. Se pensiamo anche ai tuoi lavori passati come Boot Hill e Inferno bianco si nota un certo interesse per questo sottogenere. Cosa puoi dirci?
Era ora che tornassero i cugini di un altro genere importante, sono venuti a prendere una birra e il western, che nel libro è il padrone di casa, li ha accolti a braccia aperte.
Che cos’è per te l’horror applicato al genere western?
Può essere un formidabile compagno, specie con la Guerra Civile americana di mezzo, perché quel conflitto fu un horror nella realtà di quei tempi.
Nel racconto “Una birra ghiacciata” c’è l’evidentissima citazione di un film western di una ventina di anni fa (non svelo il titolo per non rovinare la sorpresa). Quali altri modelli, richiami, omaggi ci sono dentro i racconti, che magari noi lettori non possiamo riconoscere?
Chi fa una citazione, che però deve avere una logica nella storia e non buttata lì a casaccio, secondo me non deve svelare qual è, eventualmente saranno gli altri che potranno riconoscerla, perché il gusto è proprio quello. Ma c’è anche chi non ha visto quel film magari, quindi sono giochi per i cinefili e in particolare per il western. A parte qualche citazione in cui mi diverto, spero che un racconto funzioni. Se leggo un libro giallo e l’autore cita un film che io non ho visto perché non sono un giallista, se il racconto mi è piaciuto o no, non sarà per la citazione di quel film, quindi si spera di coinvolgere sopratutto “con le emozioni” al di là delle citazioni, sia i westernisti che quelli che prendono il libro per curiosità. Un libro, per quanto immerso in un mondo, può essere letto da chiunque.
Come presenteresti i racconti – che sono tra quelli che mi sono piaciuti di più – “Picnic a Devil’s Hole” e “Sole rosso sangue”?
Penso che il titolo del secondo racconto da te citato possa significare una cosa sola: prepararsi al peggio. "Sole rosso sangue" è in gran parte un delirio sotto una palla di fuoco con tanto piombo che fischia intorno. Invece per il primo, ho voluto portare la fantascienza in mezzo alla cavalleria, a quel western militare che ho amato molto.
I tuoi racconti, chi più chi meno e correggimi se sbaglio, hanno sempre il tema del ricordo. Come mai?
Sono d’accordo su qualche volta di meno per il passato, oppure qualche volta di più e in questo libro la componente del passato è stata maggiore delle altre volte. È il passato che sul libro forma l’onda dirompente di cui scrive, e lo ringrazio, Domenico Rizzi nella prefazione. È il passato che scatena un pistolero che vuole sapere la verità su una lettera che non è mai arrivata nel racconto “Passi nella notte”. È il passato cavalcato sulle rughe di una vecchia malata, a spiegarci, come da colombi, si diventa avvoltoi.
Facciamo un po’ il giro del tuo western: quali sono i punti di contatto che uniscono i tuoi lavori di narrativa?
Penso che questo libro si ricolleghi bene alla prima raccolta di racconti che scrissi [Il baule nella prateria - ndc], ma con un bagaglio di esperienze maggiori, rispetto a qualche anno fa. Oggi i capelli bianchi sono comparsi e nel frattempo la vita è andata avanti rispetto al 2008. Inevitabilmente, e in questo senso, meno male, sono arrivate altre ispirazioni. Alcune storie interne al libro però non sono brevi, quindi la predisposizione a scrivere un altro romanzo dopo Bastardi per stirpe comunque è rimasta, ci vorrà un idea per farne nascere un altro casomai.
Dunque, per il racconto “Make me Horny” consiglio senz’altro “Ride the cowboy” di Big & Rich e sorrido. Per il racconto di cui non svelo il titolo, cioè quello di una macelleria con sfumature orgiastiche per un bagno di sangue dentro a un ranch, consiglio Nick Cave. Per il racconto “La visita” ci vedo bene “Desperado” degli Eagles. Invece per la storia di Billy e Brenda non consiglio nulla perché c’è già Bruce Springsteen per tutta la durata del racconto. In quest’ultima storia ci sarà un terzo protagonista come la Harley Davidson, la moto leggendaria. Comunque tengo a dire che i racconti sono sedici anche se per motivi di spazio non si possono citare tutti.
Possiamo aspettarci altri racconti western in futuro? O vorrai dedicarti nuovamente al romanzo?
Quien sabe… ho 57 anni e ancora non ho capito cosa farò da grande, ma sono tornato in sella, vedremo.
C’è qualcos’altro che vorresti dire ai nostri lettori?
Nella vita ci sono i grandi amici che comunque sono pochi, sono quelli di cui ci fidiamo, sono loro le montagne rocciose del nostro percorso nel sociale. Ma ce ne sono altre di persone che abbiamo incontrato per un breve tratto, e che non erano nemmeno amici, ma estranei, eppure in quel momento storico hanno inciso tantissimo lo stesso. Ma spesso la trama della vita vera non c’entra un accidente con i racconti western, non c’entra proprio un tubo, casomai quello che c’entra è il meccanismo. Alcuni personaggi si incontreranno nelle mie storie e tutto sommato, facendo un conto approssimativo, quanto tempo saranno insieme? Pochi giorni. Eppure quel bambino nel West non dimenticherà mai più lo scout che ha incontrato, così come accadrà al bianco con l’indiana. Ecco cos’è il meccanismo, è quello che mi interessava raccontare, perché se le vicende sono intense ed avventurose, a volte è sufficiente uno spazio temporale ridotto, per lasciare un segno indelebile nell’anima dei protagonisti.
Bene. Ti ringrazio tanto per la disponibilità e ti faccio un enorme in bocca al lupo per questa tua nuova avventura. Spero di risentirti presto qui su Western Campfire!
Caro Mario, grazie a te e al tuo mitico bivacco! Alla prossima perché tornerò!
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