Comincio col dire subito una cosa: Brimstone è un pugno nello stomaco. Innanzitutto toglietevi dalla testa l’idea che si tratti di un western classico e poi preparatevi ad una vicenda molto crudele. Per evitare di dover spoilerare troppo, si può riassumere così: una ragazza (Dakota Fanning) è perseguitata da un reverendo senza scrupoli (Guy Pearce).
Diretto da Martin Koolhoven, Brimstone è una discesa nell’inferno di ciò che può creare la fede in una religione. Non solo per chi crede ma anche per chi sta dalla parte opposta, e vorrebbe solo vivere la vita in pace e senza dover rinunciare ai diritti più elementari. Nel film c’è tutto questo e molto altro. Costruito ad incastro e diviso in quattro capitoli (Rivelazione, Esodo, Genesi e Castigo – che richiamano ovviamente la Bibbia, così come l’intero film), Brimstone segue la vicenda di Liz, una colona muta dal passato non proprio felice, che un inaspettato giorno si ritrova a dover fronteggiare il suo incubo peggiore: un reverendo sfregiato, con cui ha un legame oscuro. Questo racconta il primo capitolo, e la storia di Liz e del Reverendo verrà narrata a ritroso per i successivi due capitoli, per poi ritornare al presente e concludere con l’ultimo, il quarto. Questa scelta porta a un intreccio della vicenda tale che aggiungere qualcos’altro potrebbe svelare troppo a chi non ha visto il film.
Guy Pearce è una vera e propria macchina di crudeltà. Un uomo di religione che segue alla lettera la Bibbia, compiendo atrocità su atrocità, guidato dalla luce della fede (e probabilmente prendendola a pretesto per sfogare i suoi istinti) e dalla paranoia della sessualità. Dakota Fanning è la sua vittima (non che molte altre non lo siano, nel corso del film) e il film dimostrerà come la sua breve vita sia stata triste e molto sofferta.
Come detto in apertura, Brimstone è uno shock: Koolhoven non risparmia efferatezze e scene gore, il sangue (nelle varie simbologie religiose) scorre a fiumi, scene da horror sono frequenti e tutto il paratesto religioso fa da base e da collante. Koolhoven mette in mostra ciò di cui è capace la religione, il modo in cui trasforma le persone, le conseguenze per chi non segue le sue regole e non si sottomette (indovinate soprattutto chi? Esatto, le donne) e specialmente il loro malsano rapporto con il sesso e la sessualità (tutto il film gioca su questo, e sulla violenza sulle donne). Le citazioni della Bibbia sono a profusione, e tutti i personaggi parlano e agiscono plasmate dalla loro fede. Ci sono racconti di apparizioni angeliche, continui riferimenti (visuali e non) all’inferno e all’incesto, pene corporali, assassinii a sangue freddo. Ci sono scene in cui Koolhoven mostra la dicotomia legge/giustizia e scene in cui semplicemente lo spettatore rimane basito su come davvero la religione e la fede influenzino i comportamenti delle persone (ma questo l’ho già detto).
Koolhoven fa un buon lavoro, in tutti gli aspetti del film, anche se alla fine si ha la sensazione che abbia fatto pure il passo più lungo della gamba, cadendo nella pretestuosità e prendendo il tema del film troppo seriamente.
L’apparato registico è comunque degno di attenzione, con un uso accurato della fotografia e splendide inquadrature panoramiche e movimenti di macchina. L’ambientazione, che è quella di un generico Far West americano, è tuttavia un punto debole perché non dà nessun punto di riferimento geografico e dimostra chiaramente che il film non è stato girato in loco (infatti le riprese sono state fatte in Ungheria, Spagna, Austria e Germania). Anche interni e città hanno quell’aspetto “europeo” che sembra così difficile riuscire a mascherare. Armi anonime (se ne vedono non più di una mezza dozzina in tutte le due ore e mezza di film), a parte un paio di Winchester, compaiono ogni tanto giusto per.
Brimstone insomma non è un western e basta. Prende il genere a pretesto ma in realtà si tratta di un dramma (con punte di thriller) a tema religioso, un’esplorazione del lato oscuro dell’uomo; “Variety” lo definisce un “western horror domestico sadomasochistico” (non è tanto campata per aria come definizione, anzi). Nessuna vera sparatoria, un solo duello (anomalo), pochi - se non nessuno – riferimenti alle componenti western classiche, ma il film – se non vi spaventa la durata – è guardabile (non dai bambini, comunque), in particolare per il tema e per come viene esposto.
Alla fine vi verrà voglia di gridare: "Ma le religioni, a che cazzo servono?".
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