sabato 18 marzo 2023

"The English" (serie tv, 2022) [recensione]

Finalmente una boccata d’aria fresca! Dopo alcune delusioni e mezze delusioni del grande schermo (The Old Way, The Last Son, Terror on the Prairie, Dead for a Dollar) e dopo esserci allontanati dalle mani di produttori, sceneggiatori e registi italiani, ecco che il piccolo schermo è rimasto l’unico a darci soddisfazioni in campo western. Con The English, mini serie autoconclusiva da 6 episodi (la trovate su Paramount+ dall’8 marzo), il West ci viene raccontato quasi a 360 grandi, e comunque con una panoramica che abbraccia entrambi i mondi: quello bianco e quello rosso, non mancando (specie di sti tempi di moralismo, buonismo e politically correct) di pendere più a favore del secondo. Perché, anche se questi mondi sono rappresentati entrambi bene, questa serie è permeata dal messaggio (tra gli altri) di una cesura netta e insanabile tra anglo (che qui vengono chiamati, indistintamente, “inglesi”) e indiani, sottolineata in particolare da dosi di violenza estrema.
Ma di cosa parla The English? In breve, è la storia di una donna inglese (stavolta nel senso che proviene dall’Inghilterra), Cornelia Locke (Emily Blunt), che per via di un trauma subito decide di oltrepassare l’oceano e andare nel West a cercare l’uomo responsabile di quel trauma. Lì incontra un indiano Pawnee, Eli Whipp (Chaske Spencer), ex scout dell’esercito, diviso tra la vita bianca e quella rossa e con (ovviamente) un passato oscuro, che la aiuterà nel suo viaggio dal Kansas al Wyoming. Siamo nel 1890, la civilizzazione è praticamente completata e nel Wyoming infuriano le scaramucce tra proprietari di bestiame grandi e piccoli. Inutile quindi dire che il viaggio sarà costellato di pericoli ma anche di rivelazioni.
All’inizio potrebbe essere ostico seguire The English: la trama è quasi del tutto oscura, molto intrecciata, e i dialoghi criptici, a volte apparentemente insensati, più che aiutare a dipanare la matassa la ingrovigliano ancora di più. Solo nel corso degli episodi, di cui uno incentrato sulle vicende passate dei personaggi e su come iniziò la storia, la vicenda si chiarisce, sebbene molti elementi si incastreranno davvero solo con l’ultima puntata. Gli sceneggiatori hanno messo molta carne a fuoco, perché se da una parte ci sono le storie (i percorsi) di Cornelia e Eli, dall’altra ci sono le vicende degli altri personaggi (minori e non minori): strani e brutali furti di bestiame, assassinii e suicidi misteriosi, sciacalli che si fanno la guerra a suon di razzie, indiani che perdono famigliari, e mille altre cose che però, in un modo o nell’altro, convergeranno nella pista di Cornelia e Eli.
Secondo il mio parere, al netto della trama che di intuitivo ha ben poco, The English riesce a bilanciare molto bene le parti più d’azione con quelle di rivelazione dei personaggi, per i quali tra l’altro è stato fatto un lavoro egregio: il personaggio interpretato da una sempre maiuscola Emily Blunt non è per niente solo quello di una donna in cerca di vendetta, ma ha sotto uno strato zuppo di vicende e segreti, così come il personaggio di Eli Whipp non è solo quello di un indiano che disprezza i bianchi e cerca solo di raggiungere il Nebraska.
È superfluo aggiungere che l’intera sceneggiatura poggia sulle solite critiche alla politica americana sul trattamento degli indiani e su una quantità industriale di messaggi e simbolismi che francamente rinuncio già a priori a voler (cercare di) cogliere (perché francamente mi interessano meno di zero). Tuttavia c’è una spina nel fianco di questa vicenda che in fondo non ammette episodi positivi, o comunque non troppi: qui il West è rappresentato come una terra violentissima, brutale fino alle radici dell’erba, selvaggia nonostante la Frontiera fosse ormai scomparsa. Cornelia e Eli vedranno una quantità enorme di omicidi e torture, le piste sono frequentate da ladri, assassini, profittatori, soldati e cacciatori di scalpi, il sangue scorre a fiumi e ogni passo del cavallo può essere foriero di qualche disgrazia o incidente. Anche gli antagonisti si rivelano misera feccia.
Per il resto The English si becca un plauso generale: fotografia maestosa, tutto il telefilm contiene riprese delle sterminate praterie attraversate dai cavalli al galoppo, in una luce che credo i tecnici abbiano voluto più naturale possibile, rendendo il tutto con una impressionante nitidezza (parte della serie tv è stata girata in Spagna, ma non nelle classiche location degli spaghetti western, che sono l’opposto di ciò che cercava il regista e di quello che dovrebbero essere il Wyoming e il Nebraska). Anche scenografie e costumi sono curatissimi, le divise dei soldati, gli abiti, persino il paesucolo nel bel mezzo del nulla ha un fascino incredibile. Un piccolo dubbio mi viene soltanto dalle armi, in particolare da quelle utilizzate da Emily Blunt, ma non ne sono sicuro. Infine, applausi anche per la colonna sonora: fantastica, un sound da puro western modernizzato quel tanto che basta per essere originale e non una scopiazzatura, sebbene è impossibile che non rimandi a qualcosa di già sentito, ma è proprio questo il bello! Tra l’altro, non vorrei dire, ma in molti momenti (per esempio nella sigla e nella scena che conclude la caccia di Cornelia) le musiche mi hanno fatto venire in mente quelle del videogioco “Desperados” (il primo) che purtroppo sono sottovalutatissime ma in realtà hanno un sound western anche migliore di quello di molti film. Parentesi chiusa.
In generale, quindi, The English merita assolutamente la visione: ha anche il pregio di essere breve sia nel numero di episodi che nella durata di ciascuno di essi (50 minuti, poco più l’ultimo), anche se però necessita di una certa attenzione. È anche vero che alcune scene di dialoghi e di confronto (in primis quelle tra i due protagonisti) possono sembrare lunghe ed estenuanti (e lo sono) ma nel complesso sono bene amalgamate grazie a quel bilanciamento di cui vi parlavo prima.
Evviva finalmente il western, quello fatto bene, quello che non ha manie di grandezza (tipo quella cretinata di That Dirty Black Bag) ma che allo stesso tempo è grande, molto grande.

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