mercoledì 25 gennaio 2012

"L'irresistibile calamita", un ricordo di Stefano Jacurti

Con quest'inedito post voglio presentarvi uno scritto di un amico che ormai conoscete bene, Stefano Jacurti. Qui Stefano ci regala una sua "confessione" scritta, una discesa nei suoi ricordi di bambino e di adulto alla ricerca del "perchè" dell'amore per il West e per il western. E' un ricordo toccante di un nostro amico western che ha vissuto i periodi d'oro del western italiano e di quello americano, e per questo un ricordo vero, sentito, di prima mano. Chi meglio di Stefano poteva farci capire il senso e i significati nascosti del western? Magari la risposta che riesce a scoprire è quella che anche voi, noi, state, e stiamo, cercando. Buona lettura!

Mario Raciti



L'IRRESISTIBILE CALAMITA
di Stefano Jacurti


Perché?
Prima o poi questa domanda arriva nell’animo di tutti noi, al di là di quale argomento si tratti.
Capire i motivi, cosa ti coinvolge, cosa ti spinge come una calamita verso quello che hai visto, letto, ascoltato, penso sia giusto, non solo per curiosità lecita ma anche per dare un senso alla vita, a quello che fai, a come pensi, a quello in cui credi.
Ognuno ha un suo mondo, un luogo sicuro dove ogni tanto torna.
Già, ogni tanto, perché devi pensare anche ad altro. In fondo è come avere una seconda casa, quella al mare o in montagna o al vecchio paese, dove non puoi fare a meno di tornare perché laggiù ci sono le radici della tua anima.

Appurato questo, nella vita ho cominciato a chiedermi il perché del mio rapporto con il western. Prima non ero in grado di farlo, ero solo un bimbo, quel mondo mi piaceva e basta, non potevo capire subito, doveva passare del tempo, così sono passati gli anni e oggi vorrei raccontare qualcosa riguardo all’irresistibile fascino del western che non è discreto, come quello della borghesia, ma sanguigno, viscerale. Anche quando curavo quel mondo da solo, nel privato, era viscerale.
Gli aspetti che mi coinvolgono nel western sono tanti, molteplici, complessi, qui mi limito a identificarne due, quelli che nella vita ho vissuto come metafore. Sono significati universali in cui ci si può riconoscere, questo per la vita, per la letteratura, ma è certo che al cinema per essere "western" per me devono trovarsi in quel mondo.
Questi significati al cinema si trovano ovviamente anche in altri generi, ma il western è stato il primo a mandare certi input allo spettatore. Il mito, l'orizzonte, la conquista o la perdita ecc ecc, ce ne sono tanti di aspetti, c'è anche qualcosa di personale e non è affatto detto che valga per tutti, ma questo è stato per me.

Il primo è l’“emisfero A” lo chiamo così per semplificare. L’emisfero A è quello dell’eroe singolo. Il” cavaliere della valle solitaria, Il” Pistolero, Il texano dagli occhi di ghiaccio, Il” Grinta.
Il appunto… il singolo, anche uno come Armonica agisce da solo.
Perché mi attiravano? La risposta l’ho avuta verso venticinque-trent’anni, era ora di capire cosa c’era oltre al senso di avventura chiaramente presentissimo e alla bravura di molti attori e registi tutti con stili diversi.
C’era un aspetto dell’eroe singolo che guardavo con occhi affascinati, perché? Perché erano soli come me, figlio unico e sapete, i figli unici al di là delle tipologie diverse perché nessuno è il clone dell’altro, a volte possono avvertire questa sensazione, chi più, chi meno. Spesso possono soffrirne, spesso ci sguazzano come un orso e un barattolo di miele.
Infatti questi personaggi singoli, vedi Clint in Per un pugno di dollari e tanti altri, mi ricordavano un aspetto che avevo davanti agli occhi ma che da ragazzino non riuscivo a spiegare.
Stare un pò soli non era solo solitudine, ma anche una gran figata per quel senso di indipendenza,
di libertà, di anarchia orgogliosa.
L’eroe singolo mi ricordava che nella fantasia avevamo tante cose in comune e che la solitudine poteva essere comunque una forza. “Io non sto con nessuno, faccio a modo mio, arrivo, sistemo tutti e vado via perché appartengo solo all’orizzonte.Sono forte e libero, sono quello che mette le cose a posto o le sovverte, comunque sono di passaggio, perché qui non resterò”. Ecco cos’era… era questa parte dell’emisfero A che mi faceva pensare a una sorta di identificazione intima e sotterranea ma presente nella mia vita: “C'è qualcosa in questo film che mi riguarda… certo, non ammazzo nessuno nella realtà, ma sono come lui perché la mia vita è strutturata con qualcosa di simile, qualcosa che sento e riconosco”.
Del resto una certa identificazione metaforica vale anche per altri generi.

E con voracità divoravo i western con l’eroe o antieroe (termine che mi fa sorridere, anche l’antieroe è sempre un eroe suo malgrado) perché c’era un senso di appartenenza. Questo fu un aspetto molto forte che mi spinse verso il genere western e solo dopo molti anni l'ho capito.

Ma c’è stato anche l’“emisfero B” di cui vorrei parlare, un altro grande senso di appartenenza, fagocitato ancor di più dal suo esatto opposto, quello delle mancanze e delle lacune: l’amicizia, il gruppo, la banda, la pattuglia. Sì è la verità, spesso da giovane cercavo negli amici quel fratello o quei fratelli che non avevo mai avuto.
E così I magnifici sette, Il mucchio selvaggio oppure i due di Giù la testa non importa quanti fossero, mi prendevano per il loro senso di forte amicizia solidale, virile, fedele fino all’immolazione nichilista.
Spesso nella vita è diverso e in quei western di allora vedevo quello che avrei voluto che altri avessero fatto per me , come io avevo fatto per loro. Ma in positivo ci vedo oggi anche quelli che sono rimasti accanto e che mi ricordano che non tutti si allontanano. Tra l’atro succede anche il contrario, a volte siamo proprio noi ad allontanarci anche se non vorremmo farlo, quindi ci sta.
E così i due compagni di avventura o più compagni di impresa, due, cinque, dieci, mi facevano riconoscere nell'abbiamo cominciato insieme e finiremo insieme” e in un certo senso mi ripagavano nel cinema per qualche delusione inevitabile avuta nella vita come accade a tutti.

Ma entrambi i mondi hanno un prezzo da pagare, sia il singolo che il gruppo. Lo paga il singolo perché a lui il desco familiare è negato, lo paga il gruppo che finisce all’inferno pur di non mollare e sostenere una causa. Oppure non lo pagano se finisce bene, in ogni caso si andrà fino in fondo ma all’inizio i personaggi non sanno affatto come andrà a finire.
Lo sanno gli attori che devono interpretare un copione, ma non lo sanno i personaggi, come non lo sapranno anche nel caso di happy end, gli spettatori fino a che non compariranno i titoli finali.
Questi due emisferi nel western per me sono stati irresistibili, diversi, ma speculari come due poli che si attraggono.
Finito? Quindi mi piace il western perché sono figlio unico? Sarebbe davvero riduttivo e poi ormai a questa età dovrebbe far sorridere, però quando ci penso, posso negare? Posso dire che tra le tante cose che mi hanno attratto nel western, i grandi orizzonti di John Ford, gli occhi di ghiaccio di Clint, le musiche di Morricone, i primi piani di Sergio Leone, tutta una serie di attori da Wayne, a Nero e Gemma, non ci siano state anche quelle che ho raccontato?
Non posso mentire a me stesso, non avrebbe senso. Sono consapevole di altre ottiche, magari si pensa di elencare chissà quali aspetti sottili e profondi, poi arriva uno che ti dice: tutto qui? E avrebbe ragione ben inteso, anche se per me sono aspetti presenti, ma certamente no, non è tutto qui, il western mi piace per diversi motivi, sottostrati, scatole cinesi e matrioske che continuamente si aprono e Ford, Leone, Peckinpah lo hanno raccontato a modo loro e in tempi storici diversi o sponde dell’oceano diverse.
Infatti se è vero che a tanti del western non interessa nulla per gusti personali assolutamente rispettabili, è anche vero che interessa ad altri e non credo tutti figli unici, altrimenti al cinema sarebbero andati in pochi, il fatto è che molta gente si è riconosciuta in ciò che fa parte del grande calderone di questo genere che elude da figlio unico o sette spose per sette fratelli.
La ragione a mio modesto avviso, o una delle ragioni, è che il western è come una spugna appena tirata fuori dall’acqua di cui è pregna. E' quell’orizzonte con cui sono cresciuto, probabilmente in un altro momento storico dove c'era un po' più di ottimismo nonostante tutto.

Oggi i western in proporzione al resto del cinema sono pochi e molti film sono privi di orizzonti (non per questo meno belli quando lo sono) perché sono claustrofobici, sono lo specchio di una società spesso inquietante e non a caso è accaduto anche nel western. Prima il tutto si basava, per dirla in due parole, su quello che è “giusto” e quello che “non è giusto” che per molto tempo è stata una vera colonna del genere western e non la colonna ionica o corinzia, ma proprio quella dorica, quella tosta.
Poi nel tempo le cose sono cambiate, “Ma è giusto?”. Ed è nato una sorta di western cupo, a fosche tinte e in qualche caso veramente nero. Anche io che vengo da western molto diversi, ho voluto dire la mia, anche se non sempre, nei miei lavori su questo aspetto.
In ogni caso il western è qualcosa che gocciola continuamente e che lascia tracce visibili e profonde di un mondo selvaggio, questo comunque in me è rimasto e rimarrà sempre, è il sentire un genere come il vento sulla pelle, è il credere che c’è sempre qualcosa per cui valga la pena battersi.
Come fece un ragazzino anni fa, si chiamava Orlando e urlò:
“Lascialo stare o le prendi!”
Sì… Orlando parlava di me e diventò ai miei occhi un mito, come John Wayne.
Il gruppo, il plurale…l’amicizia.
Come non fece mio padre quando una volta, mentre mi schiaffeggiavano addosso a una cancello, restò immobile mentre io lo chiamavo:
"Papà!"
Poi quel ragazzino che mi aveva schiaffeggiato, se ne andò e mio padre mi disse:
“Devi imparare a difenderti da solo per quando solo sarai”
Quella volta odiai mio padre, ma dopo anni capii perché non intervenne, capii cosa voleva dire con quel “difenderti da solo, quando sarai solo”,  lui aveva ragione perché nella vita non c’è sempre uno come Orlando che arriva a salvarti.
Continuo a ringraziare mio padre, che purtroppo ho perso a luglio 2011, per quella frase, l’aveva fatto per me così dopo riconobbi la stessa cosa, anche se nella fantasia, in molte trame di tanti film a stelle e pistole.
Fu così che il western segnò la mia vita e in un certo senso la salvò con il cinema e i fumetti nel non sempre facile passaggio da infanzia ad adolescenza affiancato dalla separazione dei miei.
Questa è la mia storia, nel tempo ho imparato a combattere, nella vita nessuno ti regala nulla ma oggi Tex galoppa ancora tra le mie mani, come i libri di Luca Barbieri, Zane Grey, Domenico Rizzi, Luis L'Amour, Mariangela Cerrino, Valerio Evangelisti, Elmore Leonard e quel cinturone allacciato in una foto da bimbo, in fondo non l'ho mai lasciato.

Why not… andiamo… e i quattro del mucchio selvaggio si avviano, da brividi.

Già, il tempo è passato anche per me, di film ne ho visti molti e sono convinto anche del contrario,
perché alla fine figli unici o no, come metafora, tutti siamo soli di fronte alle difficoltà, perché potremo confidarci con un amico, ma all'ok corral di quel problema, a mezzogiorno in punto saremo soli: noi, la vita e chi ci sta davanti.
Sì, come Gary Cooper in quella strada deserta con una stella sul petto che va incontro allo schifo del mondo per farla finita.
Stavolta  i brividi western vengono dal singolo, il solitario, perché tutto gira nella giostra del tamburo di una colt.

Stefano Jacurti


L'autore in una foto da bambino

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