Domenico Rizzi è probabilmente il più prolifico autore western italiano. Con decine di pubblicazioni sul tema, sia di narrativa che di saggistica (ricordiamo le precise ricostruzioni della battaglia del Little Big Horn e della figura di George Custer), ha rievocato in tutte le salse il periodo e il mito del vecchio West.
Pochi mesi fa è ritornato a pubblicare, questa volta una raccolta di racconti (western, ovviamente). La casa sul fiume del vento, edito da Parallelo45 Editore, raccoglie sette racconti lunghi, che sviscerano il West quotidiano, quello della gente comune, piuttosto che quello dei pistoleri o quello cinematografico tutto morti, inseguimenti e sparatorie.
Dice Domenico: «Credo sia uno dei più bei libri che abbia scritto nella mia carriera letteraria. Nella raccolta, ho toccato tutti i temi classici – carovane in marcia, fattorie isolate dei primi colonizzatori, città fantasma, Indiani in fuga dall’esercito - ma anche, senza tuttavia lasciarmi condizionare dagli stereotipi, i personaggi più comuni della Frontiera. L’opera gravita intorno alle presenze femminili, dal primo racconto che apre la rassegna (“La casa sul fiume del vento”: le enigmatiche sorelle Abigail, Arianna e Adelaide Moore, custodi di un segreto inconfessabile in una remota fattoria dell’Idaho), per passare poi alla timida schiava afro-americana Rachel, fuggita dalla piantagione (“Una ragazza dalla pelle nera”), alla disinibita messicana Maribel che mira a molto di più di un semplice aiuto per lasciare la città fantasma (“Un posto chiamato Clear Creek”), alla rassegnata Siegliende Metzger, divenuta Linda nel Kansas, rapita dai Kiowa, venduta ad una banda di Cheyenne e tornata a vivere fra i Bianchi, in una società perbenista che la rifiuta per avere diviso il letto con dei “selvaggi pagani” (“Il marchio di Linda”). La narrazione prosegue poi con Glenda, una ragazza senza limiti nei suoi comportamenti sfrontati e immorali, tentata perfino da un debosciato dall’aspetto ripugnante (“Duello a Red Canyon”); con l’altezzosa Julia Hopkins che tiene testa fino in fondo al suo determinato rapitore, al quale finirà per concedere molto di più della vendetta che egli intende portare a termine (“La figlia di Hopkins”). Infine, l’imprevedibile Carrie, giovane banditessa originaria del Sud, fa saltare gli schemi precostituiti sulla morale comune. La sua vicenda prevarica la storia e diventa leggenda, mentre nel cuore dell’uomo che la conobbe veramente rimane soltanto il ricordo di una ragazza la cui unica colpa era di avere smarrito la sua strada (“La strada perduta”)».
Ma il West di Domenico Rizzi non è certo vuoto di figure maschili, anche di una certa rilevanza storica: il libro, dice l'autore, «lo considero più completo di molte raccolte in circolazione, perché
esplora tutte le tipologie di personaggi del West: il cacciatore di
pellicce, il soldato sudista, l’esploratore, l’ufficiale di cavalleria,
lo sceriffo, il capo indiano, il contadino, il
giornalista… Secondariamente, ho dato a ciascun racconto un preciso
inquadramento nel suo contesto storico, lasciando affiorare in
sottofondo gli autentici avvenimenti dell’epoca. I miei protagonisti maschili sono: una guida di carovane dirette all’Oregon (“La casa sul fiume del vento”), un soldato confederato che ritorna a casa sua nell’Arkansas dopo la guerra (“Una ragazza dalla pelle nera”), un solitario contadino del Sud trapiantato in una landa desolata del New Mexico (“Un posto chiamato Clear Creek”), una donna di origine tedesca catturata dai Cheyenne e liberata dall’esercito (“Il marchio di Linda”), uno sceriffo alcolizzato oppresso da sensi di colpa (“Duello a Red Canyon”), un galeotto evaso per portare a compimento un’atroce vendetta contro chi lo ha imbrogliato e condannato (“La figlia di Hopkins”), uno sprovveduto adolescente finito nelle mani di una scatenata donna fuorilegge che, suo malgrado, lo aiuterà a crescere e ad aprire gli occhi sul mondo che lo circonda (“La strada perduta”). Nel racconto “Un posto posto chiamato Clear Creek”, da molti definito il più coinvolgente e intrigante, vi è anche un bandito omosessuale, costretto a subire le attenzioni del suo partner più maturo che lo ha schiavizzato dai tempi in cui erano insieme in carcere».
Il quotidiano, le piccole tragedie di uomini normali - piccole agli occhi del mondo ma grandi agli occhi dei protagonisti -, le reazioni e le disperazioni sono ciò che La casa sul fiume del vento racconta. Ma il libro è anche un'ideale epopea del West, come una specie di diario lungo cent'anni e scritto a più mani. Dice Domenico, in conclusione: «il West rappresentato in questo libro è una lunga carrellata sugli avvenimenti che vanno dalla Guerra Messicana del 1846-47 alle ultime fasi della Frontiera che scompare e del suo mito che viene messo in discussione, perché il sogno è finito e, come nella conclusione di “La figlia di Hopkins”, “il treno che correva verso New Orleans procedeva nella direzione opposta a quella che probabilmente aveva seguito Farrell” e agli occhi di Julia Hopkins, svanisce anche l’immagine di uno spietato criminale, perché “Un uomo porta scritto nei suoi occhi ciò che è realmente!”».
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