martedì 26 aprile 2016

"Open Range. Terra di confine": come Kevin Costner tornò al western

Charley e Boss sono due mandriani “nomadi”, che si spostano col loro bestiame da un pascolo all’altro. Aiutati da due tuttofare, Mose e Button, e dal cane di Charley, viaggiano per le praterie allevando le loro bestie. Ma quando giungono nei pressi di una cittadina tenuta in pugno da un losco allevatore, vengono minacciati prima a parole poi con la forza e decideranno di vendicarsi andando in città a sbaragliare l’allevatore e la sua banda.

Per il suo ritorno al western, dieci anni dopo il pluripremiato Balla coi lupi, il grande Kevin Costner punta tutto su una storia classica per il genere (in quanti film, racconti e fumetti abbiamo visto la figura del “padreterno” del paese, quello che possiede tutti i negozi e le banche e tiranneggia gli abitanti?), riuscendo a trasportarne un’ennesima versione in un film degno di far parte della videoteca di ogni appassionato di cinema.

Il soggetto di Open Range - Terra di confine, che trae spunto dal romanzo The Open Range Men di Lauran Paine (no, non è mai stato tradotto in italiano), vede stagliarsi le figure di Charley e Boss, intorno a cui gireranno le vicende del film, e di Sue, sorella del medico del paese e anch’essa figura chiave della storia. I primi sono due cowboy rudi ma dal cuore d’oro, riflessivo e deciso Boss, tormentato e istintivo Charley. Robert Duvall e Kevin Costner riescono a formare una perfetta coppia sullo schermo, grazie anche alla loro smisurata passione (e competenza) per il West e il western, e sono l’emblema del regista che ripassa la storia del western classico dove l’amicizia virile era uno dei temi su cui si puntava maggiormente. Costner la riporta in Open Range facendone il punto fermo, anche attraverso i dialoghi duri e semplici, attraverso le battute e le punzecchiature che i due protagonisti si fanno l’un l’altro, quasi come se fossero una coppia sposata (così dirà Boss durante una delle incursioni in casa di Sue).
Il desiderio di vendetta (Boss lo chiama “giustizia”), il duro lavoro, il rifiuto di una qualsiasi forma di imprigionamento (nel lavoro, nella vita quotidiana, leggasi “libertà”) sono tutte caratteristiche che emergono dai due personaggi, che non accettano nè le minacce nè tantomeno la violenza dalla quale inizia l’azione che si protae poi per tutta la seconda parte del film.
Duvall porta il West sullo schermo semplicemente con la sua presenza, con la disinvoltura e la classica camminata “ondeggiante” con cui si muove, con le sue battute fulminanti, nella rappresentazione di un cowboy con le palle grosse così e con la grinta di un mustang. Costner invece è il pistolero ombroso diventato cowboy, con un passato oscuro che ritorna prepotente quando i fatti (e gli antagonisti) lo obbligano a impugnare nuovamente la pistola.
Anche Sue è uno dei personaggi cardine del film, che catalizza invece il desiderio di una sistemazione per entrambi i cowboy, da una parte di Charley, che se ne innamora, dall’altra di Boss che dopo aver perso gli amici desidera solo un tetto sopra la testa.
I cattivi, invece, non sono particolarmente da segnalare, con il classico boss che guida una banda di cowboy violenti e tiene in mano lo sceriffo del paese.

Costner costruisce dunque una buona struttura filmica, dove nella prima parte, più lenta, c’è la consueta presentazione dei personaggi, poi il momento di svolta da cui esplode l’azione e la seconda parte, ricca di tensione e di sparatorie.
La trama non ha niente di particolarmente originale, ma Costner la rende di sicuro molto più accurata storicamente, senza duelli fulminei ma diluendo l’azione in una lunghissima mega sparatoria finale, dove i contendenti - come succedeva davvero nel Far West - si sparano da due metri senza colpirsi. Gran spreco di piombo, dunque, anche se i colpi di spettacolarizzazione cinematografica ovviamente non possono mancare (mi viene in mente per esempio le conseguenze di un fucile da caccia scaricato attraverso una parete di legno).
Tra l’altro, l’open range del titolo viene evocato in modo spettacolare per tutta la prima metà del film, con cavalcate e carrellate lungo gli immensi pascoli verdi dove i cowboy si accampano e fanno pascolare la mandria. Poi il film vira verso un western urbano e cupo, dove la piccola cittadina svolge un ruolo fondamentale e il tempo inclemente fatto di pioggia e fango rende l’azione più drammatica, sottolineando le durezze dei due protagonisti, un altro modo per lo sceneggiatore di mettergli il bastone tra le ruote.
Ma anche un film così bello ha il suo punto debole, e in questo caso è la stucchevole quanto evitabile parentesi romantica che lo chiude. Costner si fa prendere forse un po’ troppo la mano nel voler mettere il lieto fine tanto amato da Hollywood e così riesce a scalfire la bellezza del film prolungandolo inutilmente con le parti più melense e, volendo, anche anacronistiche (nell’economia della pellicola), di una storia d’amore che poteva avere anche un suo perchè e una sua collocazione più idonea se fosse rimasta accennata o suggerita, com’era stata fino alla fine della lunga sparatoria finale.


Eccellente il lavoro di scenografi, costumisti e maestri d’armi, che ricostruiscono l’epoca in modo impeccabile (come succede in quasi tutti i western moderni) a partire dalla cittadina (Open Range è uno dei rari casi dove si vede un saloon senza le porte sventolanti) fino alle armi e alla verosimiglianza delle sparatorie.

Open Range è senza dubbio uno dei migliori western degli ultimi vent’anni. Kevin Costner riesce nel dare al genere uno sprazzo di vita, e non poteva essere altrimenti per un regista e attore del suo calibro, cresciuto (e consacrato) a pane e western (ricordiamo, oltre a Balla coi lupi, anche Silverado, Wyatt Earp e il recente Hatfield & McCoy, oltre a un importante e seminale documentario sulle tribù indiane del West, 500 Nations, che lo vede come produttore esecutivo e narratore).

2 commenti:

  1. Non mi è mai capitato di vederlo, ma dopo questa bella recensione devo assolutamente provvedere ;-)

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  2. Costner, insieme a Eastwood e TL Jones, è l'unico regista oggi in grado di poter girare un western. Qui più che a Ford guarda al western di Anthony Mann. Niente epica, ma storie di uomini con cicatrici del passato che combattono per quello che è loro. Il modello, chiaro e lampante, è 'Terra lontana' del 1955.

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