Emiliano Ferrera non molla il western. Il regista e attore di altri film che ho segnalato in passato, tra cui per esempio Inferno bianco, Se il mondo intorno crepa, Oro e piombo, sbarca su Amazon Prime con la sua ultima fatica: Oltre il confine. Un film western composto da due episodi distinti, “Black Town” e “Appuntamento a White Buffalo”, che segna ancora di più la maturità artistica di questo regista (che tra l’altro è anche soggettista e sceneggiatore): affidandosi ad un canovaccio dove le donne giocano un ruolo importante ma senza cadere neanche per sbaglio nell’irritante e delirante moda della presunzione femminista che negli ultimi anni sta divorando il cinema ovunque (e questo ci tengo a sottolinearlo, perché non se ne può più), e allo stesso tempo schiacciando – com’è naturale – l’occhio ai classici (anche spaghetti), Ferrera dipana due vicende separate in un West ricostruito alla perfezione e fotografato altrettanto magnificamente sugli splendidi paesaggi nostrani di Camerata Nuova, Campo Secco e Campo Imperatore.
In “Black Town” Ferrera è Nessuno, un soldato con il compito di riportare indietro la nipote del suo superiore che è tenuta prigioniera da una “strega” (Yasmin Pucci) in una desolata cittadina soverchiata dai soldati confederati. In questo episodio, ambientato due mesi dopo la fine della Guerra Civile, c’è un che di horror ma purtroppo non adeguatamente sfruttato (e forse non era nemmeno intenzione del regista) però le dinamiche di fondo dei personaggi sono interessanti, sebbene – a mio gusto e opinione – sia il più debole del film.
“Sfida a White Buffalo”, invece, ritengo sia un vero gioiellino: oltre ad avere Stefano Jacurti protagonista (ah, che piacere rivederlo nei suoi ruoli western!) insieme allo stesso Ferrera (quasi irriconoscibile, coi baffi, nel ruolo del capobanda Jim Levy), c’è la storia di una caccia all’uomo in un Wyoming splendidamente ricreato e quasi tutta girata in esterni, con un’atmosfera incredibile data dall’onnipresente nebbia, dai cupi valloni, dai boschi pericolosi da attraversare, in un misto di colori e… temperature (anche se non si sentono effettivamente, com’è ovvio) autunnali-invernali che personalmente mi mettono addosso “la scimmia” come si suol dire… Alla fine a White Buffalo (che si trova “su quella collina”) convergono lo sceriffo quasi in pensione Bat Mallory (un cognome che ormai è parte indelebile dell’atmosfera jacurtiana), la sua aiutante Libby Thompson e Jim Levy reduce dalla rapina alla banca di Little Horse… il tutto per una resa dei conti. In questo racconto, oltre ai dettagli già citati, spicca effettivamente l’interpretazione di Giulia Morgani, naturale e credibile, finanche “bipolare”, che dà il quid femminile anche a questa vicenda. E poi, mi ci risoffermo, la presenza molto più cospicua di Jacurti (che era presente anche nel primo episodio, ma in un ruolo minore) in uno dei ruoli che credo sia uno dei suoi preferiti, ovvero lo sceriffo.
Chi mi conosce sa bene quanto io non abbia la minima stima per il cinema italiano degli ultimi 30 anni (almeno), per tanti motivi che non sto qui ad elencare. L’unica eccezione la faccio per il cinema indipendente che, anche se non è perfetto, almeno nella gran parte dei casi riconosce i suoi limiti e non fa finta di essere quello che non è, gonfiandosi a dismisura di supponenza e autoreferenzialità (ok, adesso avete scoperto almeno un paio dei motivi che non volevo elencare). Emiliano Ferrera e Stefano Jacurti fanno un cinema semplice, chiaro, sia davanti alla macchina da presa (facendo di necessità virtù e sfruttando benissimo i budget che presumo non siano da grandi o medie produzioni) che dietro (niente bullaggini, niente “grandi progetti che so fare solo io”, niente atteggiamento da Oscar, ecc.), e ciò mi pare sia abbastanza evidente. Oltre il confine è prodotto dignitosissimo, ma soprattutto è un prodotto che nasce dal vero amore per il western e che non segue nessuna stupida moda, quale essa sia. Sa sfruttare le location, i costumi, le armi (sebbene, ahimè, gli spari finti o aggiunti in post produzione mi portano ad un accenno di orticaria – ma è una cosa mia), sa offrire buone interpretazioni e – cosa non scontata e molto difficile – sa dare l’atmosfera giusta, quella del West che però non è il West storico, ma che è quello tra lo spaghetti storico e lo spaghetti filtrato (come è giusto che sia) attraverso la sensibilità di Ferrera e il contributo di ottimi maestri come quello di Klaus Veri che ha firmato la colonna sonora. Emiliano Ferrera sta facendo un bellissimo percorso in un genere bistrattato, morto, sepolto, e su cui banchettano gli avvoltoi. Cosa più importante, sa benissimo dove mettere le mani ed è lontanissimo da quell'atteggiamento, troppo comune nel cinema italiano, di voler fare il passo più lungo della gamba senza averne le capacità, le conoscenze e la sensibilità. E se, alla luce di tutto ciò, quella di Ferrera non è passione sana, passione che porta a risultati molto soddisfacenti, cos’è?
Un applauso a tutti quelli che hanno reso possibile Oltre il confine.
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