giovedì 6 marzo 2025

Il "Dizionario essenziale del vecchio West" è il mio nuovo libro!


Carissimi amici e lettori della Frontiera, sono felice di segnalarvi l’uscita freschissima del mio nuovo libro! A questo giro si tratta di un lavoro ancora più da consultazione dei precedenti (Piccolo prontuario del vecchio West e Piccolo catalogo illustrato delle armi del West), perché parliamo del Dizionario essenziale del vecchio West.

Partendo dal nucleo presente nel Piccolo prontuario, forte di un paio di centinaia di voci, ho capito che poteva venirne fuori un’opera più ampia e approfondita, perfetta per un agile dizionarietto, e quindi ho ampliato alcune delle voci già disponibili e ne ho aggiunte più di 500 nuove, arrivando ad un totale di più di 700 lemmi: un risultato che, diciamolo pure, non si è mai visto nel panorama italiano, anche perché il Dizionario essenziale del vecchio West non è affatto un dizionario di storia bensì un dizionario “culturale”, “popolare”, dove le voci al suo interno dipingono il quadro della vita nel West, di quello che succedeva dietro la tela principale dei fatti storici. Quindi qui dentro potrete trovarci la definizione di contromarchio, potrete scoprire cos’era una culla, e potrete scendere in Messico a sentire (e capire) parole come escopeta, pelado o ley de fuga. Perché proprio quest’ultimo argomento è quello che forse ho sviscerato di più, inserendo centinaia di voci spagnole che si usavano correntemente nel Sudovest e spesso anche un po’ più in generale nel West.

Mi sono divertito molto a compilarlo e ho pensato che potesse essere utile per tutti gli appassionati e i curiosi, specialmente per quelli che hanno più interesse a scoprire quali elementi concreti e pratici si unirono per formare le fondamenta su cui si è sviluppata la storia della conquista del West americano.

Naturalmente anche questo Dizionario essenziale del vecchio West lo trovate solo su Amazon e solo in cartaceo.

Spero che continuerete a darmi la fiducia che mi avete sempre dimostrato e più di tutto spero di non deludervi.

Buon acquisto e buona lettura!

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domenica 2 marzo 2025

"Oltre il confine": la piccola cine-antologia di racconti western di Emiliano Ferrera

Emiliano Ferrera
non molla il western. Il regista e attore di altri film che ho segnalato in passato, tra cui per esempio Inferno bianco, Se il mondo intorno crepa, Oro e piombo, sbarca su Amazon Prime con la sua ultima fatica: Oltre il confine. Un film western composto da due episodi distinti, “Black Town” e “Appuntamento a White Buffalo”, che segna ancora di più la maturità artistica di questo regista (che tra l’altro è anche soggettista e sceneggiatore): affidandosi ad un canovaccio dove le donne giocano un ruolo importante ma senza cadere neanche per sbaglio nell’irritante e delirante moda della presunzione femminista che negli ultimi anni sta divorando il cinema ovunque (e questo ci tengo a sottolinearlo, perché non se ne può più), e allo stesso tempo schiacciando – com’è naturale – l’occhio ai classici (anche spaghetti), Ferrera dipana due vicende separate in un West ricostruito alla perfezione e fotografato altrettanto magnificamente sugli splendidi paesaggi nostrani di Camerata Nuova, Campo Secco e Campo Imperatore.

In “Black Town” Ferrera è Nessuno, un soldato con il compito di riportare indietro la nipote del suo superiore che è tenuta prigioniera da una “strega” (Yasmin Pucci) in una desolata cittadina soverchiata dai soldati confederati. In questo episodio, ambientato due mesi dopo la fine della Guerra Civile, c’è un che di horror ma purtroppo non adeguatamente sfruttato (e forse non era nemmeno intenzione del regista) però le dinamiche di fondo dei personaggi sono interessanti, sebbene – a mio gusto e opinione – sia il più debole del film.

“Sfida a White Buffalo”, invece, ritengo sia un vero gioiellino: oltre ad avere Stefano Jacurti protagonista (ah, che piacere rivederlo nei suoi ruoli western!) insieme allo stesso Ferrera (quasi irriconoscibile, coi baffi, nel ruolo del capobanda Jim Levy), c’è la storia di una caccia all’uomo in un Wyoming splendidamente ricreato e quasi tutta girata in esterni, con un’atmosfera incredibile data dall’onnipresente nebbia, dai cupi valloni, dai boschi pericolosi da attraversare, in un misto di colori e… temperature (anche se non si sentono effettivamente, com’è ovvio) autunnali-invernali che personalmente mi mettono addosso “la scimmia” come si suol dire… Alla fine a White Buffalo (che si trova “su quella collina”) convergono lo sceriffo quasi in pensione Bat Mallory (un cognome che ormai è parte indelebile dell’atmosfera jacurtiana), la sua aiutante Libby Thompson e Jim Levy reduce dalla rapina alla banca di Little Horse… il tutto per una resa dei conti. In questo racconto, oltre ai dettagli già citati, spicca effettivamente l’interpretazione di Giulia Morgani, naturale e credibile, finanche “bipolare”, che dà il quid femminile anche a questa vicenda. E poi, mi ci risoffermo, la presenza molto più cospicua di Jacurti (che era presente anche nel primo episodio, ma in un ruolo minore) in uno dei ruoli che credo sia uno dei suoi preferiti, ovvero lo sceriffo.

Chi mi conosce sa bene quanto io non abbia la minima stima per il cinema italiano degli ultimi 30 anni (almeno), per tanti motivi che non sto qui ad elencare. L’unica eccezione la faccio per il cinema indipendente che, anche se non è perfetto, almeno nella gran parte dei casi riconosce i suoi limiti e non fa finta di essere quello che non è, gonfiandosi a dismisura di supponenza e autoreferenzialità (ok, adesso avete scoperto almeno un paio dei motivi che non volevo elencare). Emiliano Ferrera e Stefano Jacurti fanno un cinema semplice, chiaro, sia davanti alla macchina da presa (facendo di necessità virtù e sfruttando benissimo i budget che presumo non siano da grandi o medie produzioni) che dietro (niente bullaggini, niente “grandi progetti che so fare solo io”, niente atteggiamento da Oscar, ecc.), e ciò mi pare sia abbastanza evidente. Oltre il confine è prodotto dignitosissimo, ma soprattutto è un prodotto che nasce dal vero amore per il western e che non segue nessuna stupida moda, quale essa sia. Sa sfruttare le location, i costumi, le armi (sebbene, ahimè, gli spari finti o aggiunti in post produzione mi portano ad un accenno di orticaria – ma è una cosa mia), sa offrire buone interpretazioni e – cosa non scontata e molto difficile – sa dare l’atmosfera giusta, quella del West che però non è il West storico, ma che è quello tra lo spaghetti storico e lo spaghetti filtrato (come è giusto che sia) attraverso la sensibilità di Ferrera e il contributo di ottimi maestri come quello di Klaus Veri che ha firmato la colonna sonora. Emiliano Ferrera sta facendo un bellissimo percorso in un genere bistrattato, morto, sepolto, e su cui banchettano gli avvoltoi. Cosa più importante, sa benissimo dove mettere le mani ed è lontanissimo da quell'atteggiamento, troppo comune nel cinema italiano, di voler fare il passo più lungo della gamba senza averne le capacità, le conoscenze e la sensibilità. E se, alla luce di tutto ciò, quella di Ferrera non è passione sana, passione che porta a risultati molto soddisfacenti, cos’è?

Un applauso a tutti quelli che hanno reso possibile Oltre il confine.

venerdì 17 gennaio 2025

Due segnalazioni western recenti che mi ero dimenticato

Per gli ultimi due mesi mi sono dimenticato di segnalare due notevoli uscite western, entrambe a cura dell'editore Mattioli 1886 (che è molto focalizzata sul western mainstream, per esempio pubblicando molti romanzi di A.B. Guthrie).

A novembre è uscito Diezmo, di Rick Bass, racconto sulla fallimentare spedizione di un gruppo di texani a Mier, in Messico, nel 1842, che si concluse con uno degli episodi più tragici della storia del West.

Diezmo racconta la storia vera dell’assurda e tragica spedizione Mier. Due giovani amici, James Alexander e James Shepherd vengono reclutati per servire in una pattuglia che perlustra il confine del Texas. Attraverso i ricordi di James Alexander, il romanzo racconta gli orrori della missione sul fronte messicano, dove i due amici finiranno per essere catturati e rinchiusi in un carcere terribile da cui cercheranno disperatamente di scappare. Sottoposti a ogni tipo di supplizio, il narratore e i suoi compagni passeranno attraverso il ‘Diezmo’, una durissima selezione per cui uno su dieci verrà giustiziato. Un sogno di grandi trionfi destinato a trasformarsi prima in un inno alla violenza, poi in una preghiera per la sopravvivenza e in un nostalgico ricordo di casa. Rick Bass ci racconta la storia della sanguinaria spedizione Mier, una delle imprese più tragiche e assurde della storia di quel Texas che, come scrive l’autore, “è nato nel sangue”.


A dicembre è uscito Sentieri selvaggi, di Alan LeMay, nuova edizione e traduzione a venticinque anni dalla più recente (del 1988 edita da La Frontiera) e a settanta dalla più vecchia (di Baldini e Castoldi del 1956!). Da quest'opera venne tratto il capolavoro di John Ford con John Wayne come protagonista.

Dopo lo sterminio della loro famiglia da parte di un gruppo di Comanche, Amos e Martin partono in cerca della giovane Debbie Edwards, unica superstite, rapita dagli indiani. Dal momento in cui lasciano il loro ranch, in una torrida giornata texana, Martin Pauley e Amos Edwards diventano due ‘cercatori’. Negli anni che seguiranno, si renderanno conto che quello che stanno cercando è molto più di una ragazza scomparsa e della vendetta personale. Entrambi sono guidati dai loro segreti, dal senso di colpa, dall’amore e dalla rabbia. Sfidando i pericoli che li circondano, i due uomini diventeranno leggendari, ‘cercatori’ di quell’ultimo scontro che li renderà finalmente liberi.

mercoledì 15 gennaio 2025

"Comanche Moon" di Larry McMurtry: Einaudi conclude la quadrilogia western

L'11 febbraio 2025 uscirà, per Einaudi, il romanzo Luna Comanche di Larry McMurtry. Si tratta del volume conclusivo della quadrilogia western del grandissimo scrittore texano, pubblicato nel 1997 e finalmente arrivato anche per noi poveri appassionati italiani. 

Luna Comanche conclude uno dei cicli più apprezzati e di successo del genere, con Lonesome Dove (il primo) che vinse persino il premio Pulitzer nel 1986. Gli altri due romanzi, tutti pubblicati da Einaudi nel corso degli ultimi sei anni, sono Le strade di Laredo e Il cammino del morto.

La sinossi di Comanche Moon riporta:

Da tempi immemorabili, è con la prima luna piena d’autunno che i Comanche scendono sul sentiero di guerra. Ma gli equilibri lungo la frontiera dell’Ovest stanno irrimediabilmente cambiando. I coloni risalgono i fiumi come formiche e a difendere gli insediamenti ci sono Gus McCrae e Woodrow Call, appena promossi capitani dei Texas Ranger ma già pronti a diventare gli eroi che conosciamo. Con “Luna comanche” si chiude lo straordinario ciclo western di Larry McMurtry. Girata l’ultima pagina, avrete voglia di ricominciare dalla prima riga di “Lonesome Dove”. Quando il famigerato ladro di cavalli comanche Kicking Wolf gli ruba l’instancabile Hector, un cavallo così poderoso da essere reputato magico, il capitano Inish Scull decide di inseguirlo a piedi, affidando il comando della compagnia di Texas Ranger a Woodrow Call e Gus McCrae. Mentre la caccia al ladro conduce l’impulsivo Scull a un durissimo scontro di volontà con il Black Vaquero, il bandito più efferato del Messico, i neopromossi capitani si trovano per la prima volta ad avere la responsabilità della vita dei loro uomini. Nelle sconfinate pianure dell’Ovest la priorità è sempre portare a casa la pelle e così i due amici accantonano i consueti battibecchi e intraprendono la prima delle tante missioni che li renderanno i combattenti più ammirati della frontiera. Di ritorno a Austin, li attende però una nuova sfida, per la quale la vita da ranger non li ha minimamente preparati. Dopo anni e anni di corteggiamento, Clara Forsythe, il grande amore di Gus, ha preso la sua decisione, e Maggie Tilton, la timida prostituta con cui Call ha un rapporto stabile, si gioca l’ultima carta per tentare di accasarsi con lui. A quel punto, l’ordine della ricca e umorale signora Scull, di andare a recuperarle il marito, giunge quasi provvidenziale. Ai due non resta che montare in sella e avventurarsi di nuovo nelle terre selvagge, in compagnia dei fedelissimi Pea Eye, Jake Spoon, Deets e Long Bill. Con un ritmo serratissimo e tutta la tragicomica umanità che McMurtry dona infallibilmente ai suoi personaggi, “Luna comanche” racconta le leggendarie avventure di Gus e Call nel fiore degli anni e introduce la riflessione malinconica sul tramonto di un’epoca che troverà il suo mirabile compimento in “Lonesome Dove”.

Comanche Moon, come tutti gli altri della quadrilogia, uscirà nella collana Supercoralli, quindi rilegato con sovracopertina, al prezzo di 24 euro.

Non ci resta dunque che attendere ansiosamente il mese prossimo!

lunedì 13 gennaio 2025

"American Primeval": il vero West non lascia scampo

Il western si dimostra davvero, per l’ennesima volta, il genere per eccellenza. Dato per morto un innumerevole numero di volte, ha sempre saputo rialzarsi – magari a fatica –, barcollare, zoppicare, inciampare, ma alla fine ritornare a petto in fuori, testa alta e Colt spianata. Fino a sputare fuori un capolavoro come American Primeval.
Nata dalla fantasia dello sceneggiatore di Revenant, Mark L. Smith, questa miniserie da sei episodi è una boccata d’aria rigenerante per il western, come del resto sono stati recentemente più le serie tv che i film. In un West più vicino ai trapper che ai cowboy, più dirimpetto alla Guerra Civile che alle guerre indiane, si consumano le due vicende che sono in parte radicate nella vera Storia e in parte frutto di fantasia. Tutto comincia con l’arrivo a Fort Bridger di Sarah Rowell (Betty Gilpin) e suo figlio, che vogliono e devono andare ad ovest alla ricerca del padre del bambino. Prima si legano ad una carovana di mormoni diretta in Utah ma quando questa viene massacrata proprio da una milizia della loro stessa gente, Sarah e figlio vengono salvati da Isaac Reed (Taylor Kitsch), un burbero e silenzioso cacciatore. Da quel momento i due filoni della storia si divideranno per procedere parallelamente: da un lato l’ostinata e difficilissima traversata del continente della donna, che per giunta è anche ricercata da un nugolo di cacciatori di taglie; dall’altro, l’incrocio sanguinario tra la sete di potere (e di dominio) dei mormoni guidati dal fanatico Brigham Young (interpretato dal sempre inquietante Kim Coates) e protetti dalla milizia, gli indiani Paiute e Shoshoni e la cavalleria americana.
American Primeval tocca innanzitutto un’epoca della storia del West forse mai presa in considerazione dalla cinematografia: è il 1857 e il massacro della carovana è mutuato da quello realmente avvenuto proprio quell’anno a Mountain Meadows da parte di “soldati mormoni” travestiti da indiani (e su cui ancora oggi non è mai stata fatta assoluta chiarezza), a cui seguì una specie di guerra tra i religiosi e l’esercito americano, ansioso di fermare il progetto “indipendentista” di Young, tra l’altro ben esposto nella miniserie. Ma ovviamente American Primeval va oltre: pur dovendo inevitabilmente acconsentire a qualche stereotipo, la storia si focalizza molto sulla sanguinarietà della religione, sui conflitti morali, sullo scontro di culture come quella pellerossa (apparentemente l’unica a subire le peggiori conseguenze), ma anche sulla speranza e sull’amore.
La sceneggiatura fa un lavoro impressionante: il ritmo è martellante, in sei episodi (della durata media di 50 minuti) non ci si ferma neanche per un istante, i momenti di riflessione, di dialogo statico, di confronto civile sono ridotti all’osso e ogni pochi minuti succede sempre qualcosa, quasi senza soluzione di continuità. Un enorme pregio che fa scorrere gli episodi uno dietro l’altro, e se non si tiene il conto ci si potrebbe ritrovare alla fine senza neanche accorgersene.
I personaggi fanno tutti un lavoro mostruoso, a cominciare ovviamente da Betty Gilpin, nuovissima nel western, una donna tenace, dura come l’acciaio, orgogliosa ma con il cuore aperto ad una vita migliore; poi Kitsch (anche lui nuovo nel genere) che è taciturno ma quasi invincibile, rude ma in realtà pienissimo di sentimento, solitario al limite del mutismo ma di cui vedremo il perché a poco a poco; c’è la coppia di sposini mormoni Abish (Saura Lightfoot Leon) e Jacob Pratt (Dane DeHaan, lo abbiamo visto nei panni di Billy the Kid nel film The Kid) e la loro storia in caduta tra la follia di lui e l’incertezza di lei; ci sono i capi della milizia; c’è Jim Bridger (Shea Whigham), gran personaggio sarcastico e simpaticissimo; c’è il capitano della cavalleria (Lucas Neff), altro grandissimo personaggio molto diverso dal solito soldato cercatore di gloria dei western classici, anzi; poi c’è anche la piccola Due Lune, l’indiana muta che accompagna Sarah, Isaac e il figlio, e ci sono gli indiani Shoshoni e gli indiani Paiute, le guide, i cacciatori di taglie, il folle Young e il suo aiutante… E pur focalizzandosi molto sulle donne, American Primeval ha l’enorme pregio di non fossilizzarle nelle supereroine imbattibili resistenti alle botte e alle pallottole che vanno di moda oggi ma invece di renderle umane, orgogliose, e forti quando serve. Insomma, una pletora di personaggi per un affresco western di enorme impatto.
E se storia e personaggi hanno il loro perché, gran parte del lavoro di American Primeval lo fa l’intero aspetto visivo: il regista Peter Berg e lo sceneggiatore Mark Smith ricreano un West così reale da far male agli occhi. Violenze esplicite e inaudite (ci sono scalpature, mutilazioni, spari in faccia, ecc.) puntellano i sei episodi (stranamente l’aspetto sessuale è quasi totalmente lasciato fuori), mostrando quanto la vita sulla Frontiera americana fosse di una durezza difficilmente comprensibile da noi oggi. Il pericolo e la morte sempre in agguato, e sopra di esse il manto della natura selvaggia, qui mostrata in tutto il suo splendore attraverso riprese tra i più vari ambienti come la pianura spoglia, le foreste innevate, gli intrighi di rocce, gli strapiombi. Ma non aspettatevi il verde rigoglioso o l’azzurro cielo: la fotografia di American Primeval è ghiacciata, freddissima, aumentando la sensazione di violenza e di freddo, persino negli ambienti che dovrebbero essere assolati. In effetti in American Primeval l’ambientazione gioca un grande ruolo, a cominciare per esempio da Fort Bridger, un rudissimo avamposto popolato da ubriaconi, cacciatori di pellicce, indiani, soldati, mormoni, sbandati, cacciatori di taglie e scout di ogni nazionalità, immerso nel fango perenne. Ambientazione intesa anche come costumi, ovviamente: la cura nei dettagli è lontana anni luce dalle raffazzonate riproduzioni del West messe in mostra nei western classici: in American Primeval le armi sono correttissime, i costumi curatissimi, le scenografie ricostruite con la massima cura, tanto che credo ci sia stato un lavoro di maestranze veramente imponente.
In American Primeval, in genere, comunque, tutti sono sporchi e cattivi, l’atmosfera è cupa e oppressiva e la speranza e l’amore, se ci sono, sono ben nascosti. Non si fanno sconti, non esiste il buonismo o il politically correct, né la moderazione o tanto meno la diplomazia.
Ma ce l’avrà qualche difetto questa serie tv? Forse sì. Gli stereotipi un po’ retorici sugli indiani sono sempre quelli, ormai lasciano il tempo che trovano ma è anche vero che, a meno di non estremizzarli al massimo, quelli sono e quelli resteranno. Forse i personaggi hanno un livello di profondità un po’ ridotto ma personalmente, a cominciare dal fatto che American Primeval non è un film drammatico dove si parla soltanto, lo ritengo più un pregio che un difetto, visto che comunque l’essenziale viene detto (o non detto) e tutti i personaggi funzionano meravigliosamente bene. Infine, forse il difetto maggiore per chi è sensibile è l’altissimo tasso di violenza esplicita, che potrebbe senz’altro disturbare. Per quanto mi riguarda, lo ritengo semplicemente una realtà fattuale per un lavoro che fa del realismo il suo punto di forza.
Arrivando alle conclusioni, per me American Primeval è un capolavoro. Avventura e azione in ambiente western, con un occhio alla Storia, un altro ai dettagli, un altro ancora ai personaggi, su una sceneggiatura che non lascia un attimo di respiro, dipinta da una regia con vari accorgimenti stilistici d’impatto (qualcuno su internet ha citato la pioggia di frecce, che mette veramente paura!). Cosa chiedere di più? Ah, c’è pure Betty Gilpin… Il capolavoro è servito.