giovedì 16 gennaio 2014

Intervista esclusiva! Stefano Jacurti e "Il baule nella prateria"

È stato il suo primo libro di narrativa, maturato nel corso degli anni pre e post il suo primo film Inferno bianco, ed è uno dei libri di narrativa western in assoluto che amo di più. Sto parlando della raccolta di racconti Il baule nella prateria, e sempre di lui, Stefano Jacurti, carissimo amico e inesauribile fonte di conoscenza western. È un libro a cui sono particolarmente legato perchè è stato concepito in un periodo in cui io, avendo scoperto da poco la passione per il West, cominciavo a farmene una prima impressione principalmente attraverso i film e i fumetti, creandomi in testa un West personale, pieno dei clichè che più mi affascinavano. Ma anche attraverso il forum di farwest.it, dove in quegli anni Stefano scorrazzava come un mustang e dove lui stesso ha avuto un'enorme influenza sulla mia visione del West, che porto ancora oggi nel cuore e a cui provo a ritornare spesso, anche se è cambiata nel corso del tempo e dei miei studi sulla storia reale della Frontiera americana.
Anche se è uscito sei anni fa - con una nuova edizione ampliata (ne vedete la copertina sotto) l'anno scorso -, Il baule nella prateria rimane una pietra miliare del western italiano, perchè scritto benissimo, perchè dentro c'è la passione per un mondo, perchè Stefano sa quello che scrive, perchè ha un microcosmo intorno che lascio alla viva penna dell'autore, tramite questa intervista, raccontare.
Buona lettura!

Intervista di Mario Raciti

Ciao Stefano e bentornato su Western Campfire! Stavolta con questa intervista facciamo un passo indietro nel tempo per parlare del tuo primo libro, Il baule nella prateria. Sai già come io personalmente sia molto legato a questo libro, quindi la prima domanda è un po' una curiosità mia, che mi piace conoscere – come a molti lettori in generale – la genesi di un libro: qual è stata quella del Baule nella prateria?
Ciao Mario, un saluto a tutti gli amici di Western Campire!
La genesi è stata progressiva, cominciai con “Il vecchio e il puma” il primo racconto western che ho scritto.

Nel libro c'è una pluralità di ambientazioni e di personaggi: da dove hai preso le idee per i racconti?
Sia il cinema che la storia possono offrire spunti interessanti, infatti nei miei scritti le ispirazioni vengono da entrambi i settori.

Che sensazioni provavi quando ti sedevi alla tastiera a scriverli?
I più devastanti, quelli che mi hanno fatto piangere come un vitello, sono stati “Il vecchio e il puma” e “My apologies miss Eleonor”. Ricordo che mia moglie quando rientrò in casa mi vide rosso in faccia, mi mancava il fiato per l’emozione e dovetti sospendere per tornare tranquillo e arrivare alla fine, ma questo è normale, succede. Ora lei si è abituata a vedermi in questi stati d’animo così diversi e anche io. Scrivere, e alcuni autori lo sanno, è una gioia, ma per arrivare a quella gioia a volte si passa sotto le forche caudine della sofferenza. Ma scrivere è anche il contrario, vedasi “Vajas con Dios” dove tra esplosioni, dinamite e sparatorie, ridevo come un pazzo. Quindi le situazioni possono essere molteplici e per me scrivere i western è come entrare in un frullatore. Ovviamente è la fantasia che fa la parte del leone ma si sa che nelle sue storie l’autore prima o poi “volutamente” o “inconsciamente” andrà a toccare qualcosa che lo riguarda, magari solo da lontano, ma lo riguarda.
Debbo dire che dopo aver scritto è difficile che io spenga il computer, vada a letto e mi addormenti subito. Non è affatto così, perché avendo messo in circolazione l’adrenalina che ci vuole per un western, passa sempre qualche ora prima che arrivi Morfeo. Sono anche attore, quindi scrivo “di pancia” come si suol dire, e sulla sedia mi muovo quando scrivo, perché scalpito come un cavallo selvaggio.

Che obiettivi volevi raggiungere con la pubblicazione di questi racconti? Ci sei riuscito?
L’obbiettivo era solo uno: “il western è oggi” e sono stato felice di aver presentato il libro nella mia città e in giro in Italia.

Parliamo un po' di qualcuno dei racconti… "Il libro e la Colt" per me è il racconto più bello della raccolta: come è nato? Sembra che ci sia lo zampino della Storia nel racconto, ti sei ispirato a qualche evento realmente accaduto o a qualche personaggio storico?
Non in particolare, c’era però una frase che ricordavo… quella di una donna che aveva conosciuto due personaggi famosi delle storia del west e così raccontava: “C’era qualcosa di bene mischiato al male in Billy the Kid, c’era qualcosa di male mischiato al bene in Pat Garrett” poi certo, mi sono inventato tutto, ma questa sintesi era interessante per i personaggi di quel racconto. Mi è piaciuto raccontare una storia dove si trova il modo di uscire dalla spirale della violenza, ma anche il suo esatto contrario, “come entrarci e perché si arriva a quel punto”. Burt e Tom sono due uomini lontani anni luce, ma hanno una cosa in comune: il fato ha deciso che ciascuno dei due farà un grande favore all’altro…

"Indian marshal" è forse il più audace dei racconti, che dà spazio a due figure solitamente emarginate, come i mezzosangue e le prostitute.
Purtroppo non sono Sam Peckinpah, ma lo capisco, amava le prostitute come personaggi e nel mio microcosmo, come personaggi, le amo anche io. Ovviamente mi concentro su una per renderla speciale. La storia del mezzosangue è stata l’occasione per poter parlare anche di certe tematiche a suon di piombo caldo scandito dal passare dei minuti che mancano a mezzogiorno.
Un componente della giuria a un concorso, su "Indian Marshal" disse: “sembra un film” forse esagerava, ma la mia scrittura ormai a detta di molti, è visionaria e vicina al cinema, perché ancora prima di scrivere la mia idea, io “la vedo” e faccio di tutto perché il lettore la senta sulla pelle. Quando andai a Grosseto a ritirare il premio, la notte non ho dormito. Ricordo che ero in Maremma al tramonto, vedevo cavalli all’orizzonte, qualcuno si era accorto di me. Indimenticabile.

"Vajas con Dios" è ambientato nel Messico: ti piace di più quest'ambientazione o preferisci quella de "Il libro e la Colt"?
Mi piacciono entrambe, ogni volta mi immergo nell’ambientazione che sto ricreando in modo molto diverso come Montana-Canada per "Il libro e la Colt" e il Messico della rivoluzione per "Vajas con Dios".

"Dove arriva quel treno" è il tuo omaggio a Sergio Leone e a C'era una volta il West. Il suo possibile epilogo lo avevi già in mente oppure l'hai pensato subito prima di scrivere il racconto?
No, avevo tutto in testa, secondo me è un racconto un po' a parte della raccolta, particolare, ma sono stato contento di scriverlo, tutti dobbiamo qualcosa a Sergio Leone. Mi piaceva l’idea che Armonica e Jill potessero incontrarsi dopo anni.



"Kansas 1900" è il racconto che chiude la raccolta e il cerchio: è infatti un baule uno dei suoi "protagonisti". Quello che è caduto nella prateria faceva forse parte di quelli che Peggy e i suoi amici trovano accatastati in soffitta?
Sì, il baule è proprio quello. Se intitoli un libro o un film in un certo modo, un motivo ci deve pur essere. "Kansas 1900" è la fine del west, del face to face, del “adesso la risolviamo a modo nostro” di un mondo che se ne va per lasciar spazio a ridicole e scoppiettanti automobili. In generale Il baule nella prateria è un libro dove le atmosfere del western americano e quello italiano, a turno vengono fuori, ma a modo mio.

Ci daresti qualche chicca sui racconti del Baule, qualcosa di curioso che non sappiamo?
Una più che altro ve la ricordo, Il baule ha una nuova edizione con due racconti in più, “Una voce nel vento” e “Sotto una porta del White Buffalo” anche quest’ultimo è stato premiato ai concorsi. Quello che non tutti sanno è che Il baule nella prateria, nel suo ottanta per cento, è nato nel 2003, un anno speciale, perché non avevo mai scritto nella narrativa. Scrivo tutt’ora copioni teatrali, soggetti per corti, medi, lunghi e libri, ma con la narrativa non mi ero mai cimentato a quei tempi. Anzi pur amando leggere, consideravo noioso scrivere un racconto, ma la notte che scrissi "Il vecchio il puma", scoprii un mondo immenso. Era un'altra dimensione, una porta nel tempo che si apriva come Ai confini della realtà… il western potevo viverlo anche nella narrativa, cosa a cui non avevo mai pensato prima. In pratica Il baule nella prateria è nato sui forum, tempo fa. E anche internet era giovane allora, poi ho tolto tutto e ho aspettato, sono uno che sa attendere. Ricordo il contatore delle letture come schizzava in alto, possibile mi chiedevo? Mah… sarò io che sarò entrato più volte pensavo… non ci credevo, ma io ero entrato in modifica tre o quattro volte, i conti non tornavano comunque e la mattina successiva il contatore letture era salito di brutto. Pian pianino cominciai a capire che dovevo insistere e non mi fermai più. Il baule nella prateria è formato da racconti scritti di notte, quella notte per amica che ho condiviso con tanti amici di quei tempi. Con molti, tu compreso, mi sono ritrovato su Facebook e vi ringrazio per la vostra vicinanza di allora, ci siamo divertiti un mondo anni fa.

Nei tuoi racconti ci sono sentimenti e violenza, ma noi sappiamo che in realtà il West di romantico non aveva nulla. Per te il western letterario come deve essere? Realista e violento (noir, se vogliamo) oppure romantico e ingenuo, come il buono che vince sempre e si allontana al tramonto?
Quando scrivo i western, non sto dietro a quel che va di moda o no, il mio scopo è unicamente il dare emozioni, qualsiasi esse siano nel genere, anche perché i western, come gli horror, i gialli o i noir, non sono tutti uguali. Il buono? Bisogna vedere cosa significa essere buoni nel western. Per me il buono per uccidere il cattivo, deve essere ancora più cattivo di lui, altrimenti non ce la farebbe mai. Il cattivo però deve essere di pari livello, altrimenti l’impresa del buono varrebbe zero.
Di certo John Wayne o Clint Eastwood non andrebbero a scomodarsi per quattro ruba galline.

Non pensi che il West che raccontava Louis L'Amour sia superato se il western dovesse essere riproposto al pubblico, che oggi è sempre più abituato ad antieroi e alla violenza?
Prima di tutto a L'Amour bisogna fare un monumento, molti film sono stati tratti dai suoi romanzi. Certamente lo stile narrativo può essere più datato rispetto a Lansdale ma i valori no, non sono mai vecchi, certi valori sono senza tempo. Naturalmente questo nel positivo, ma c’è anche l’altra facciata e nei miei western non c’è uno schema fisso. Ad esempio se uso un finale dove non se ne salva uno, lo faccio non perché sia un trend attuale, ma perché ritengo sia più efficace in quel contesto.
Viceversa se uso l’happy end non lo faccio per buonismo ma perché ritengo che sia più utile allo scritto. Non ho quindi preconcetti e preclusioni, scrivo solo quello che mi serve per dare più emozione, perché è quella che voglio trasmettere. Poi che Dio ci aiuti.

Quali personaggi e quali storie e tematiche ti piace raccontare?
Momenti dove il tempo batte l’ora del destino, momenti di sesso in un fienile, momenti dove il passato ritorna con la sua forza dirompente, momenti dove si corre incontro al nemico con la baionetta innestata urlando come ossessi, momenti dove arriva un grande perdono, momenti dove il nemico non è più un uomo, ma la natura che chiede il conto. Ma potrei continuare all’infinito con storie dove il piombo non ha colore perché è solo uno o altre dove non si può restare a guardare.

C'è una regola che non infrangi mai quando scrivi?
Sì, è quella dell’umiltà consapevole, perché so che non ho scritto trecento libri ma tre e per me molto importanti come esperienza. Il cammino per migliorare è lungo quindi. Per il resto è il western che ha le sue regole. Io mi ci butto con la mia personalità perché un western non può essere solo scontri a fuoco, ma ci deve essere una storia che ritengo meriti di essere raccontata con dei personaggi che abbiano uno spessore psicologico, positivo o negativo che sia. Del resto, nel western le tematiche ci sono sempre state fin dal 1903 e chi pensa che al genere serva solo un cavallo, una pistola e un cappello, ne ha un'idea superficiale perché non ha frequentato il genere, tutto qui. Guai però a rinunciare all’azione, per il western sarebbe comunque letale come il serpente mamba… tre passi e muori.

Hai qualche altro baule da aprire?
Per ora non nella scrittura.

Noi ci ritroveremo tra qualche mese di nuovo qui, per il tuo prossimo film western. Vuoi dire qualcosa al riguardo ai nostri lettori?
Che se c’è un baule da aprire è quello di Se il mondo intorno crepa. Io ed Emiliano Ferrera stiamo facendo il massimo per farlo arrivare, ma siamo anche scrupolosi, per questo facciamo le cose con cura senza farci prendere dalla smania. Posso solo dire una cosa: arrivederci su Western Campfire!

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