In un Texas sporco e spettrale, il giovane Jack Parker è a caccia di un
pericoloso gruppo di ladri assassini che hanno rapito sua sorella Lula e ucciso
suo nonno. Ad accompagnarlo in questa missione è un eterogeneo piccolo
esercito, in cui spiccano un nano cacciatore di taglie, un enorme negro e un
maiale incazzato.
Joe Lansdale torna al western e lo fa nel suo solito stile:
esagerando. Solo che, nello specifico caso de La foresta, l’esagerazione
sfocia quasi nel ridicolo. I protagonisti, come sempre, sono di quelli che in
un modo o nell’altro bucano il foglio, più che altro per via della loro
originalità: il ragazzino timorato di Dio (Jack), il nano spietato e colto
(Shorty), il negro enorme ma buono (Eustace), la prostituta innamorata e dal
cuore d’oro (Jimmie Sue), uno sceriffo puzzolente e col viso semicarbonizzato
(Winton), un negretto tranquillo ma deciso (Spot), e un maiale grosso come un
cane e altrettanto intelligente (Hog). Gli antagonisti sono scarti umani
accomunati dalla violenza e dall’assassinio, guidati da Cut Throat Bill.
Leggendo La foresta ci si rende conto, tuttavia, che l’esagerazione
di Lansdale non riguarda solo i personaggi ma anche la lunghezza del racconto: la
storia infatti risulta prolissa e, a tratti, noiosa e ripetitiva. Molti
intermezzi avrebbero potuto essere tagliati, per rendere il romanzo più snello
e veloce. Certo, grazie allo stile frizzante di Lansdale le pagine scivolano
via velocemente, tra metafore e similitudini al fulmicotone e battute sagaci ed
esilaranti, segni indivisibili dell’arte lansdaliana.
Eppure in questo romanzo l’impressione che qualcosa sia andata oltre è
inevitabile, si sente la “trazione” tra una pagina e l’altra, specialmente nella
parte centrale, che Lansdale ha riempito per allungare il brodo.
L’ambientazione è curata: il Texas di Lansdale è, storicamente, quello a
metà strada tra La morte ci sfida e Tramonto e polvere: inizi del
Novecento, quando nello Stato della Stella Solitaria cominciava a sbocciare l’economia
petrolifera e si cominciavano a vedere le prime automobili. Un West lurido e
fangoso, ma soprattutto sporco: l’antitesi di ciò che è sempre stato
romanticizzato nella maggior parte dei film e dei romanzi. E comunque, anche
qui non sto dicendo nulla di nuovo o di eccezionale, perchè tutti i western di
Lansdale sono sempre stati così. Joe è impagabile nel raccontare, anzi nel
descrivere, le ambientazioni, che diventano così un ulteriore personaggio e,
nel caso de La foresta, riescono a mantenere alta la qualità del
romanzo, che altrimenti si affloscerebbe non poco.
La trama è quella da western classico: caccia all’uomo (agli uomini)
attraverso un territorio difficile e ostile. Purtroppo la varietà di situazioni
possibili non è ampia, quindi Lansdale non può fare altro che raccontare le
solite cose, anche se risolve abbastanza bene la situazione spostando l’attenzione
sui personaggi.
Il finale è troppo compresso per soddisfare totalmente il lungo viaggio del
lettore e, purtroppo, con una certa nota di buonismo che stona un po’ sia con
il racconto che con lo stile lansdaliano.
In conclusione, La foresta è un romanzo che si fa leggere con
divertimento e umorismo ma non è il miglior Lansdale. La prolissità, unita a
una serie di disquisizioni un po’ troppo filosofiche e noiose, in contrasto con
l’anima picaresca e frizzante della storia, rendono il romanzo lungo e a volte
ripetitivo. Ma se vi lasciate catturare dall’atmosfera pulpissima e splatter,
sempre in bilico tra noir e horror, e dall’umorismo di certe scene e battute,
sarà una lettura che non vi farà rimpiangere l’acquisto.
A quanto pare, inoltre, è in studio l’adattamento cinematografico del
romanzo, con l’attore Peter Dinklage nella parte del nano Shorty.
A me questo romanzo non era affato dispiaciuto, devo dire (a parte il finale che mi ha ricordato altre cose). E' vero, come dici, che sovente Lansdale cade in qualche piccola "lungaggine", ma la sua prosa ci mette una pezza. Non è il miglior Lansdale, sono d'accordo, ma neanche uno dei peggiori. Anzi, visti i forti alti e bassi dell'ultimo decennio a cui ci ha abituati lo scrittore texano, mi verrebbe quasi da dire che con La Foresta c'è da sperare in un suo pronto ritorno alla verve flemmatica e tagliente dei vecchi fasti. Speriamo.
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