È questa, molto succinta, la trama di una delle più belle storie western del fumetto. Per comodità la chiameremo Il tesoro dei confederati, ma in realtà si tratta di tre episodi intitolati Chihuahua Pearl (Chihuahua Pearl), L’uomo che valeva 500.000 dollari (L’homme que valait 500.000 $) e Ballata per una bara (Ballade per un cercueil).
Scritta da Jean-Michel Charlier e disegnata da Jean Giraud (meglio noto come Moebius) tra il 1970 e il 1973, Il tesoro dei confederati è un’avventura di puro western che tiene il fortunato lettore incollato alle pagine. Charlier riesce magistralmente a intrecciare una trama così fitta, così complessa e così perfettamente scandita che rivelare anche il meno importante dei suoi tantissimi snodi snaturerebbe la lettura dell’intera storia: anzi, probabilmente sarebbe quasi impossibile riassumere degnamente tutta la vicenda, motivo per cui mi sono limitato a quelle poche righe d’apertura. Charlier è un maestro che riesce a far convivere senza sbavature una rosa di personaggi tanto ampia quanto eterogenea. Chihuahua Pearl è un’avventuriera bella ma velenosa, doppiogiochista dal cuore di ferro. Lopez è il pericoloso governatore che viene giocato da più parti ma che sta in testa a uno spietato gruppo di seguaci. Vico è il classico comandante messicano con i suoi federales al seguito. Finlay è lo sbandato che insieme alla sua piccola banda vagabonda per il deserto in cerca di soldi da arraffare con la violenza… In mezzo ci sono Blueberry e i suoi inseparabili pard McClure e Red Neck, che devono sbrogliare la matassa cercando non solo di non rimetterci la pelle ma in più di recuperare l’oro. In più ci sono altri personaggi minori che gravitano intorno e dentro la storia, tutti comunque con qualcosa da fare… ovviamente per arraffare questo benedetto oro! Con tutta questa marmaglia, quindi, potete immaginarvi la baraonda che ne viene fuori. Il bello è che a ogni pagina Charlier ci offre sparatorie, inseguimenti, tradimenti, esplosioni, scariche di fucileria, assalti di cavalleria, duelli, e il classico chi più ne ha, più ne metta… Sembra di guardare uno di quegli spaghetti western tutto violenza e polvere da sparo, a cui senz’altro Charlier si è ispirato. Difficile dire molto altro senza rovinare, anche di poco, il gusto e il piacere della lettura di questa fantastica ed esplosiva cavalcata tra la polvere rovente del Messico.
Un Messico, quello di Charlier e Giraud, che è quanto di più vivo e pulsante ci sia mai stato offerto dalla letteratura disegnata. In un’ambientazione accuratissima da tutti i punti di vista, la storia si dipana meravigliosamente bene anche grazie al suo sfondo così evocativo, dove riecheggiano tutta la cultura e la storia del Messico post-Massimiliano, con le sue cantinas, le sue strade e piste polverose, i messicani in siesta, i villaggi sperduti e scalcinati, le sierra selvagge e i deserti ribollenti, la tequila, le infernali prigioni, i peones, i rurales, i bandidos…Un ambiente che abbiamo imparato ad amare grazie agli innumerevoli film e romanzi western e che spesso rimane nel cuore dei westernofili.
E se Charlier è abile nel fondere ambientazione e svolgimento delle vicende, Giraud non è da meno nel rappresentare il tutto. D’altronde da uno dei più grandi disegnatori della storia del fumetto non ci si può aspettare di meno! Il suo tratto è fluido, densissimo di particolari tanto che a volte le vignette appaiono confuse da quanti elementi Giraud riesce a inserirci. Un esempio può essere la grande vignetta della Casa Roja, nel momento in cui Blueberry vi fa il suo ingresso per la prima volta. Ma in generale tutti gli albi che compongono la storia sono dei gioielli di dettaglio, ma anche di dinamismo e di caratterizzazione – i cavalli al galoppo, le figure in movimento, i volti e i vestiti dei personaggi – oltre che di sapiente costruzione della griglia, con un occhio particolare allo sfruttamento dei momenti più drammatici o di tensione, aiutati in questo anche dall’uso del colore (che non so se sia opera dello stesso Giraud): proprio quando le cose si fanno più “calde” vira al rosso e alle relative sfumature (a volte eliminando del tutto lo sfondo), per poi passare al giallo nelle ariose scene all’aperto. Tutto ciò, come abbiamo detto, unito a una rappresentazione del Messico davvero impeccabile, tanto che – come deve sempre accadere nello storytelling, che sia un fumetto o un romanzo, che sia un western o un noir – l’ambientazione diventa un protagonista assoluto e una ragion d’essere della storia.
Dunque è impossibile non essere catturati da questo connubio di espressività e bravura e, anche se l’intera storia è forse un po’ rallentata dai tanti e lunghi dialoghi e da una trama intricata, è impossibile non riuscire a godersi un’avventura dove il western è raccontato nella sua massima espressione!
Le copertine delle edizioni originali Dargaud.
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